Chi ha
paura dei nuovi mandarini
Le imprese
aspettano miliardi di crediti dallo Stato. I soldi ci sono, le leggi pure, ma
qualcuno frena.
I
superburocrati.
Che
bloccano anche i tagli di spesa. E spesso comandano più del governo.
Come arginarli?
Raccontava Giulio Andreotti che, ministro delle
Finanze per la prima volta, correva l’anno 1958, aveva convocato gli alti
dirigenti del ministero per comunicare loro l’intenzione di nominare il
direttore generale un grand commis di sua fiducia. Quando però il più anziano
dei convenuti gli fece notare che , sì, lui era pure il ministro, ma prassi
voleva che il direttore generale venisse scelto tra i dirigenti stessi, non
fuori dell’amministrazione. Una specie di rituale passaggio del testimone celebrato
all’interno della stessa cerchia di alti burocrati. Andreotti capì e annuì, ma
convocò tutti per il giorno dopo. Per informarli che aveva appena cooptato il
suo uomo, tra i dirigenti del dicastero. Passate altre ventiquattr’ore lo
nominò direttore generale. Rispettando così la prassi e allo stesso tempo
andreottianamente aggirandola
Quella volta vinse dunque la politica
politicante, ma da allora il braccio di ferro si è sempre pervicacemente
riproposto. Fino a che è parso però che la politica arretrasse, impaurita e
condizionata. Ha scritto il nostro Michele Ainis: “I partiti hanno divorato gli
apparati burocratici, distruggendone l’imparzialità prescritta dall’articolo 97
della Carta, pretendendo di scegliersi capi e sottocapi attraverso lo spoils system”;
ma “il dirigente selezionato per meriti politici diventa giocoforza un politico
lui stesso, acquista l’autorità per governare in luogo del governo, si
sostituisce legittimamente al suo ministro”. Càpita che il civil servant cerchi
di spodestare il suo re….
Bel
Problema. Sbarcando a Palazzo Chigi – lo ha svelato Sergio Rizzo, “Corriere della
Sera” – Matteo Renzi aveva pensato a una norma che impedisse a consiglieri di
Stato e giudici del Tar di occupare i vertici dei ministeri. Non se n’è fatto
sulla. Così i neoministri hanno cercato di aggirare l’ostacolo sostituendo
qualche grand commis con personaggi fuori del giro, ma si sono dovuti
arrestare dinanzi ad alcuni intoccabili
che da anni governano Infrastrutture, Sviluppo, Economia…
E però questa – per dirla con lo stesso Renzi – è
la madre di tutte le battaglie. E premier da poche ore, fece un esempio: “Lo
sapete che ci sono 258 decreti attuativi da sbloccare? 258 leggi che non
possono essere applicate perché i dossier sono fermi nei cassetti di qualche
ufficio. Ecco, per sterzare, il paese ha bisogno che tutto questo non accada
più”. Bloccati pure i tagli di spesa. Qualcuno sospetta che i nuovi mandarini
usino il loro potere di interdizione solo per fare lo sgambetto a ministri e governi.
Allora Meglio si comprende la decisione
di Renzi di blindare Palazzo Chigi con una task force che vigili
sull’applicazione delle leggi, specie economiche, ed eviti che le burocrazie
prendano il sopravvento (lo fece anche D’Alema premier e tra i suoi corazzieri,
guarda un po’, c’era Pier Carlo Padoan, oggi ministro dell’Economia). E non è
un caso che del team faccia parte anche Roberto Perotti, l’economista che da
tempo tuona contro gli stipendi d’oro dei superburocratici – i meglio pagati
d’Europa: dal 40 all’80 per cento in più nei gradi più alti – e il loro
strapotere: Vengono alla mente i saggi di papa Bergoglio, scelti uno a uno per
arginare la Curia e ripulire lo Ior….
E il braccio di ferro continua. Il governo Letta
aveva disposto il pagamento immediato dei crediti vantati dalle imprese nei
confronti della pubblica amministrazione. Facile a dirsi. Qualcuno deve
accertare il debito, certificarlo e firmare il “visto, si paghi”. E chi se la
piglia questa responsabilità a rischio Corte dei Conti? A Franco Bassanini era
allora venuta un’idea: l’impresa va in banca e sconta il suo credito con la garanzia della Cassa depositi
e prestiti. Semplice, no? Sì, se non fosse che la burocrazia del Tesoro ha
spinto il pedale del freno e dei 9° miliardi che le aziende aspettano ne sono
stati rimborsati 22,7.
Insomma, non è solo un problema di sprechi e di
superstipendi, che pure c’è, ma di ridisegnare i labili confini tra governo e
amministrazione, capire chi comanda dove e chi decide cosa, di scegliere (non
cooptare) i dirigenti, magari per concorso. Renato Brunetta ci aveva pensato e
la legge sui concorsi l’aveva presentata. Poi
qualcuno l’ha chiusa in un
cassetto.
Twitter@bmanfellotto
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 27 marzo 2014 –
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