Le forze populiste e i
movimenti di protesta possono prevalere nelle prossime elezioni per il
Parlamento di Strasburgo.
E i nostri partiti,
diversi da tutti gli altri, rischiano solo di contribuire allo stato
confusionale dell’Unione
Le prossime elezioni possono consegnarci un parlamento
europeo in cui le forze politiche hanno fin qui promosso e sostenuto la
costruzione unitaria si trovino se non in minoranza, comunque sconfitte e
gravemente indebolite. Effetto forse inevitabile di un ventennio in cui né
socialdemocratici, né conservatori popolari hanno saputo ripensare l’Europa
alla luce della fine del “secolo breve”. Le stesse innovazioni introdotte, la
moneta unica, sono state vissute in chiave conservatrice: come se dovessero
garantire il permanere di vecchie rendite di posizione, impossibili dopo la
guerra fredda e l’affermazione di antichi-nuovi celesti imperi. Da qui il
fallimento del processo “costituzionale”, i colossali ritardi in materia di
unificazione, o almeno “convergenza parallela”, tra le politiche sociali e
fiscali, il nullismo in politica estera. La grande sfida, culturale prima di
tutto, su come coniugare partecipazione democratica e cittadinanza europea a
sviluppo, innovazione, potenza tecnico economica, capacità e efficacia
decisionale, è s diligentemente evitata o sommersa in retoriche e
burocratismi.
Oggi Le forze che si confrontano possono essere
sostanzialmente comprese in cinque gruppi. I: un’area vasta e composita di
movimenti puramente regressivi. Essi pensano che micro-nazionalismi,
staterelli-individui, possano ancora giocare un ruolo nella competizione
internazionale; 2: populismi che cavalcano la protesta e gli effetti della
crisi sui ceti popolari e medi, senza presentare alcuna alternativa, a caccia
di voti fa spendere all’interno dei propri Paesi; 3: “sinistre” varie, che opinano sia sufficiente
forte-mente volere per continuare con le tradizionali politiche di welfare;
generosa e vana utopia, che ha immaginato in Tsipras una propria bandiera; 4:
un diffuso euro-scetticismo di stampa anglosassone, che in Gran
Bretagna ha da sempre la sua naturale dimora (l’Europa è
strutturalmente debole sul confine atlantico, quanto su quello mediterraneo);
5: “conservatori” dell’idea dell’unità politica europea, ancora forti nelle due
grandi “famiglie” del parlamento, ma sempre più visti dall’opinione pubblica
come tutt’uno con le onnipervadenti e costose burocrazie tecnico-finanziarie
dell’Unione.
Se questo è il quadro, i rischi che dalle prossime elezioni
l’area 5 esca peggio che drasticamente ridimensionata sono enormi. Il gatto può
finire con l’impiccarsi con la propria stessa coda: il dilagare di localismi,
nazionalismi, populismi provocherà necessariamente un’ulteriore “serrata” delle
burocrazie centristi che, con tanti cari saluti agli spiriti di Ventotene – e
anti-euro, prima, e anti-europeiste tout court, dopo.
Troppo Facile Prevedere che di tutto ciò non si parlerà
nella campagna elettorale in Italia (e poco, temo, anche altrove). Le questioni
epocali riguarderanno da noi la tenuta di Renzi e la candidatura sì-no di
Berlusconi. Tuttavia, le conseguenze, anche per il governo, di un’affermazione
delle componenti 1,2,3,4, per quanto non si tratti certo di voti politicamente
sommabili, sarebbe pesante. Il paese che si accinge ad assumere la presidenza dell’Unione (il più
europeista, a chiacchiere, fino a qualche tempo fa) contribuirebbe non poco a
aumentare delusione e sfiducia. Già contribuiremo comunque ad accrescere lo
stato un po’ confusionale delle suddette grandi famiglie, piazzando nel gruppo
socialdemocratico le variopinte “anime” del Pd, e in quello conservatore-
popolare il compatto schieramento formato dai Berlusconi, dagli Alfano, dai
Casini e qualche altro residuo di prima e seconda Repubblica. Il nostro apporto
alla metamorfosi in stato liquido di ideologie e partiti è già cospicuo;
cerchiamo di non aggiungervi anche un voto di condanna per il processo
unitario. E ciò sarà possibile solo parlando “in verità” di Europa, della sua
idea, del suo destino, dei suoi drammatici problemi e di come si pensa
realisticamente di affrontarli.
Massimo Cacciari – L’Espresso – 27 marzo 2014 -
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