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mercoledì 11 dicembre 2013

Lo Sapevate Che: "Viva Il Re!"...


E con Napolitano la rottura su amnistia e Cancellieri

E in libreria l’ultimo libro di Marco Travaglio, “Viva il Re!”, dedicato a “Giorgio Napolitano, il presidente che trovò una Repubblica e ne fece una Monarchia”. Per gentile concessione dell’editore Chiarelettere, ne anticipiamo alcuni stralci sui rapporti burrascosi tra il capo dello Stato e Matteo Renzi.

Il 12 ottobre 2013 Matteo Renzi si dice contrario all’amnistia e all’indulto ordinati da Napolitano nel messaggio alle Camere: li definisce “un autogol e un vulnus al principio di legalità che la gente non capirebbe. Il Pd che voglio è pienamente rispettoso del capo dello Stato, ma le leggi le facciamo noi, non il Quirinale. A Napolitano si può anche dire qualche no”. Apriti cielo. Enrico Letta si dissocia. Franceschini telefona a Renzi per avere chiarimenti. Il Presidente fa di più: come risulta all’autore di questo libro, telefona al sindaco di Firenze facendogli una lavata di capo per la presa di distanze sull’amnistia: l’idea che presto il Pd possa avere un segretario che non prende ordini dal Quirinale, evidentemente, lo atterrisce. Renzi però tiene il punto. Allora il Quirinale gli invia un’email del presidente con il testo integrale del messaggio alle Camere e l’invito a rileggerlo perché, sostiene, è stato “travisato”. Il 13 ottobre, al solito segnale convenuto, parte l’attacco concentrico a Renzi, che in poche ore viene attaccato da tre ministri di Letta jr.: Bonino, Zanonato e Lupi. E poi dal solito Emanuele Mancuso e da Gianni Cuperlo. Ma il sindaco insiste: “Dissentire da Napolitano non è lesa maestà”.
Il 23 ottobre Napolitano è a Firenze, in visita con Enrico Letta. Lì incontra Renzi e torna ad ammonirlo, dopo la burrascosa telefonata sull’amnistia. Primo: lasci in pace il governo Letta (che “deve durare almeno fino al 2015”) . Secondo: non si metta di traverso sulla legge elettorale “Porcellinum” che il presidente ha in mente e vuole far partire non alla Camera (come chiede il Rottamatore), ma al Senato (per non scontentare il Pdl, che a Montecitorio è ininfluente); e alla svelta perché “stiamo giungendo a un nuovo limite estremo, e cioè, la sentenza della Consulta del 3 dicembre” Te a gettare terzo: non dia retta alle “intenzioni calunniose del “Fatto” che mirano a destabilizzare il governo e a gettare ombre sulle istituzioni” (il riferimento è alle voci diffuse dai falchi Pdl sul “patto tradito” per la grazia a Berlusconi, ndr.)
Il 18 novembre la Procura di Torino non archivia il caso Cancellieri, ma nemmeno indaga la ministra: comunica di aver deciso di inviare subito gli atti alla competente Procura di Roma (dove si è svolto l’interrogatorio che potrebbe configurare la falsa testimonianza), lasciando a quella la scelta se procedere contro di lei o meno (“Nessun soggetto è stato iscritto nel registro degli indagati, ma gli atti possono richiedere approfondimenti”). Una decisione puramente tecnica e di buon senso (comunque l’indagine sarà condotta e conclusa nella Capitale, priva di alcun significato innocentista o colpevolista. Ma il Quirinale non perde l’occasione di immischiarsi nel caso giudiziario e, non si sa a che titolo, dirama un comunicato: “Il tutto alla vigilia dell’assemblea dei deputati del Pd che dovranno pronunciarsi sul voto da dare in aula il giorno 20 sulla sfiducia individuale alla ministra.
Renzi intanto vince le primarie fra gli iscritti del Pd e torna a chiedere le dimissioni della Cancellieri. Napolitano parla con Letta jr. e Franceschini: la Guardasigilli non si tocca, “se cade lei cade anche il governo”, insomma “ognuno faccia le sue scelte, ma se ne assuma fino in fondo la responsabilità”. Letta telefona a Renzi: “Ho sentito il presidente della Repubblica, ti chiediamo di ritirare la tua richiesta”. Renzi risponde picche: “Per me Napolitano può fare anche il presidente del Consiglio, ma il segretario del Pd lo farò io”. Il premier lo richiama più tardi: “Il presidente e io ci permettiamo di insistere: se ne va della sopravvivenza del governo. In fondo la Cancellieri non è neppure indagata”.
Renzi ribatte: “ Non è un problema penale, ma politico e morale, di opportunità”.
Franceschini, alleato di Renzi, ma soprattutto di Napolitano e Letta, annuncia che i suoi deputati renziani voteranno no alla sfiducia, invece i renziani ortodossi, con Paolo Gentiloni, annunciano un ordine del giorno anti-Cancellieri. Renzi chiede al Pd di poter partecipare in serata all’assemblea dei parlamentari, come segretario ormai in pectore. La risposta della segreteria è no. Letta invece partecipa. Arriva direttamente dalla Sardegna devastata da un uragano e prende la parola in apertura dei lavori: “La sfiducia alla Cancellieri è una sfiducia a me e a tutto il governo: chiedo al Pd un atto di responsabilità”. Un ex democristiano che si appella alla disciplina di partito, residuato del “centralismo democratico” comunista. A quel
 Punto i renziani e Civati si allineano. La sfiducia, l’indomani, verrà respinta e la ministra dei Ligresti resterà alla Giustizia.
E’ il replay del caso Alfano-Kazakistan. Ma qui Letta nipote, spalleggiato dal Quirinale, ha compiuto un passo in più. Come Gustave Flaubert con Madame Bovary ha detto: “Madame Cancellieri c’est moi”. E Napolitano, per non essere da meno, ha copiato direttamente il Re Sole: “L’état c’est moi”.

Marco Travaglio – L’Espresso del 12 dicembre 2013

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