E con Napolitano la
rottura su amnistia e Cancellieri
E in libreria l’ultimo
libro di Marco Travaglio, “Viva il Re!”, dedicato a “Giorgio Napolitano, il
presidente che trovò una Repubblica e ne fece una Monarchia”. Per gentile
concessione dell’editore Chiarelettere, ne anticipiamo alcuni stralci sui
rapporti burrascosi tra il capo dello Stato e Matteo Renzi.
Il 12 ottobre 2013 Matteo Renzi si dice contrario
all’amnistia e all’indulto ordinati da Napolitano nel messaggio alle Camere: li
definisce “un autogol e un vulnus al principio di legalità che la gente non
capirebbe. Il Pd che voglio è pienamente rispettoso del capo dello Stato, ma le
leggi le facciamo noi, non il Quirinale. A Napolitano si può anche dire qualche
no”. Apriti cielo. Enrico Letta si dissocia. Franceschini telefona a Renzi per
avere chiarimenti. Il Presidente fa di più: come risulta all’autore di questo
libro, telefona al sindaco di Firenze facendogli una lavata di capo per la
presa di distanze sull’amnistia: l’idea che presto il Pd possa avere un
segretario che non prende ordini dal Quirinale, evidentemente, lo atterrisce.
Renzi però tiene il punto. Allora il Quirinale gli invia un’email del
presidente con il testo integrale del messaggio alle Camere e l’invito a
rileggerlo perché, sostiene, è stato “travisato”. Il 13 ottobre, al solito
segnale convenuto, parte l’attacco concentrico a Renzi, che in poche ore viene
attaccato da tre ministri di Letta jr.: Bonino, Zanonato e Lupi. E poi dal
solito Emanuele Mancuso e da Gianni Cuperlo. Ma il sindaco insiste: “Dissentire
da Napolitano non è lesa maestà”.
Il 23 ottobre Napolitano è a Firenze, in visita con Enrico
Letta. Lì incontra Renzi e torna ad ammonirlo, dopo la burrascosa telefonata
sull’amnistia. Primo: lasci in pace il governo Letta (che “deve durare almeno
fino al 2015”) . Secondo: non si metta di traverso sulla legge elettorale
“Porcellinum” che il presidente ha in mente e vuole far partire non alla Camera
(come chiede il Rottamatore), ma al Senato (per non scontentare il Pdl, che a
Montecitorio è ininfluente); e alla svelta perché “stiamo giungendo a un nuovo
limite estremo, e cioè, la sentenza della Consulta del 3 dicembre” Te a gettare
terzo: non dia retta alle “intenzioni calunniose del “Fatto” che mirano a
destabilizzare il governo e a gettare ombre sulle istituzioni” (il riferimento
è alle voci diffuse dai falchi Pdl sul “patto tradito” per la grazia a
Berlusconi, ndr.)
Il 18 novembre la Procura di Torino non archivia il caso
Cancellieri, ma nemmeno indaga la ministra: comunica di aver deciso di inviare
subito gli atti alla competente Procura di Roma (dove si è svolto
l’interrogatorio che potrebbe configurare la falsa testimonianza), lasciando a
quella la scelta se procedere contro di lei o meno (“Nessun soggetto è stato
iscritto nel registro degli indagati, ma gli atti possono richiedere
approfondimenti”). Una decisione puramente tecnica e di buon senso (comunque
l’indagine sarà condotta e conclusa nella Capitale, priva di alcun significato
innocentista o colpevolista. Ma il Quirinale non perde l’occasione di
immischiarsi nel caso giudiziario e, non si sa a che titolo, dirama un
comunicato: “Il tutto alla vigilia dell’assemblea dei deputati del Pd che
dovranno pronunciarsi sul voto da dare in aula il giorno 20 sulla sfiducia
individuale alla ministra.
Renzi intanto vince le primarie fra gli iscritti del Pd e
torna a chiedere le dimissioni della Cancellieri. Napolitano parla con Letta
jr. e Franceschini: la Guardasigilli non si tocca, “se cade lei cade anche il
governo”, insomma “ognuno faccia le sue scelte, ma se ne assuma fino in fondo
la responsabilità”. Letta telefona a Renzi: “Ho sentito il presidente della
Repubblica, ti chiediamo di ritirare la tua richiesta”. Renzi risponde picche:
“Per me Napolitano può fare anche il presidente del Consiglio, ma il segretario
del Pd lo farò io”. Il premier lo richiama più tardi: “Il presidente e io ci
permettiamo di insistere: se ne va della sopravvivenza del governo. In fondo la
Cancellieri non è neppure indagata”.
Renzi ribatte: “ Non è un problema penale, ma politico e
morale, di opportunità”.
Franceschini, alleato di Renzi, ma soprattutto di Napolitano
e Letta, annuncia che i suoi deputati renziani voteranno no alla sfiducia,
invece i renziani ortodossi, con Paolo Gentiloni, annunciano un ordine del
giorno anti-Cancellieri. Renzi chiede al Pd di poter partecipare in serata
all’assemblea dei parlamentari, come segretario ormai in pectore. La risposta
della segreteria è no. Letta invece partecipa. Arriva direttamente dalla Sardegna
devastata da un uragano e prende la parola in apertura dei lavori: “La sfiducia
alla Cancellieri è una sfiducia a me e a tutto il governo: chiedo al Pd un atto
di responsabilità”. Un ex democristiano che si appella alla disciplina di
partito, residuato del “centralismo democratico” comunista. A quel
Punto i renziani e
Civati si allineano. La sfiducia, l’indomani, verrà respinta e la ministra dei
Ligresti resterà alla Giustizia.
E’ il replay del caso Alfano-Kazakistan. Ma qui Letta nipote,
spalleggiato dal Quirinale, ha compiuto un passo in più. Come Gustave Flaubert
con Madame Bovary ha detto: “Madame Cancellieri c’est moi”. E Napolitano, per
non essere da meno, ha copiato direttamente il Re Sole: “L’état c’est moi”.
Marco Travaglio – L’Espresso del 12 dicembre 2013
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