Se Dovessi Tenere Un
Sermone Laico…
Comincerei così: diceva
uno scrittore che per ritrovare il significato del Natale bisognerebbe
liberarlo delle incrostazioni consumistiche e festaiole. Parole sante in bocca
a un non credente.
Al quale mi associo
volentieri.
Tempo fa una lettrice de “l’Espresso” di Guastalla mi ha
avanzato una proposta: “Ogni tanto Lei appare come firma su questo settimanale
“laico”: perché non prova una volta a proporre anche a noi - per usare un titolo di Luigi Einaudi – una
“predica laica”?”. Devo subito correggere la mia lettrice: in realtà Einaudi
raccolse alcuni suoi interventi sotto il titolo “Prediche inutili” e non vorrei
correre il suo stesso rischio….Tuttavia raccolgo la sfida , anche perché questo
numero del settimanale apparirà proprio alle soglie di una festa che, pur in epoca detta “post-cristiana”, continua
a stare ben inchiodata nel tessuto sociale contemporaneo apparentemente
secolarizzato.
Comincerei Il Mio
Sermone così: “Il
Natale odierno mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori tirano fuori dal mare con le reti,
tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni marine, che le rendono
irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le
incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico
bisognerebbe liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole,
abitudinarie, cerimoniose”. Questo incipit può sembrare troppo moralistico?
Allora confesserò che non sono né parole mie né quelle di un predicatore. Era
nientedimeno che Alberto Moravia a iniziare così anni fa un suo articolo
natalizio per un quotidiano!
Certo, il rituale laico di questa festa cristiana è spesso
analogo al cine-panettoni e ha come emblema luci al neon e vetrine colme. Tuttavia
non si può ignorare che ora molta gente fatica persino ad allestire un pranzo
natalizio degno di questo titolo. E allora l’omelia potrebbe continuare
lasciando la parola a un vero
predicatore, papa Francesco, con l’incisività delle sue “parabole” sulla
povertà. E’ lui, infatti, più di tanti
politici, a far risuonare il “ruggito della fame” del mondo, a scrivere nel suo
ultimo testo “Evangelii gaudium” pagine roventi sulla necessità dell’
“inclusione o a dai centro-città festosamente illuminati alle squallide
“periferie”.
A proposito di periferie, continuerei allora la mia predica
più o meno “laica” con una testimonianza personale. Quand’ero giovane prete,
studente a Roma, mi recavo a visitare gli infermi di una parrocchia di
Torpignattara. C’era un anziano che mi accoglieva sempre con gioia, il caffè, mi preparava il caffè, mi
tratteneva il più possibile. Quando dovetti salutarlo per l’ultima volta perché
rientravo a Milano, mi disse sconsolato: “Lei non sa cosa vuol dire non
attendere più nessuno”. Quante persone nel giorno di Natale sono come lui,
sole, dimenticate, davanti a un telefono che non squilla perché non c’è più
nessuno che si ricorda di loro e al massimo possono parlare solo coi loro cari
morti.
Voltaire Diceva che le prediche sono come la spada
di Carlo Magno, lunghe e piatte, perché i predicatori quello che non sanno
darti in profondità ti danno in lunghezza. Lo spazio di questa pagina è finito.
Concluderò, allora, con una provocazione. Anche quest’anno di Natale ha nel
mondo la solita presenza di Erodi e di innocenti sgozzati. Lascerò ai lettori
di riflettere su un aneddoto che mi ha raccontato l’ambasciatore di Israele
presso la Santa Sede e che può essere sia una rappresentazione della storia
umana sia un amaro esame di coscienza collettivo. Anni fa, in visita allo zoo
biblico di Gerusalemme fu condotto Henry Kissinger, Segretario di Stato di
Nixon. Egli rimase stupefatto di fronte a un leone accovacciato davanti a un
agnello che brucava pacificamente. Si era forse avverata la profezia messianica
di Isaia secondo la quale il leone si sdraierà accanto all’agnello in perfetta
armonia? “No – replicò il direttore dello zoo – in verità noi sostituiamo ogni
giorno un nuovo agnello…!”.
Gianfranco Ravasi – L’Espresso – 26 dicembre 2013
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