Quei Gorgheggi Stonati
Che Papa Francesco
Vorrebbe Far Tacere
Papa Francesco, come è
noto, è un gesuita. E la liturgia, con annessi e connessi, nella Compagnia di
Gesù viene celebrata ma non enfatizzata.
In effetti, di accentuazioni rituali le liturgie dell’epoca
bergogliana ne hanno veramente poche: il Pontefice predica dall’ambone e non
dalla cattedra episcopale, raramente usa la mitra e i suoi paramenti sono degni
ma non preziosi…Il tutto, al fine di ottenere l’evidente, e gesuitico,
risultato di una celebrazione intensamente partecipata sia da chi sta
sull’altare sia da quanti assistono ai riti dai banchi nelle navate delle
chiese. Un concetto reiterato dal Papa con parole assai ferme, forse un po’
crude, al numero 95 della sua recente esortazione apostolica Evangelii gaudium:
“Questa oscura mondanità si manifesta in
molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di
“dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della
liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li
preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni
concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un
pezzo da museo o in un possesso di pochi”. A questa essenziale ars celebrandi, alla maniera del Papa
latinoamericano, sembra si siano arresi anche i cerimonieri pontifici. Eppure
“questa oscura mondanità”, che neppure l’ascetico rigore celebrativo di
Benedetto XVI era riuscito a moderare, continua a serpeggiare intorno a papa
Francesco. Il Concilio Vaticano II, tra i tanti “desiderata” rimasti inevasi,
aveva fortemente raccomandato che durante le cerimonie religiose cattoliche,
fosse l’intera assemblea a cantare. Perché, come ricordava l’appena defunto
cardinale Domenico Bartolucci, i Padri del Concilio non volevano fedeli che
“cantassero a Messa” ma, al contrario, che fossero i fedeli “a cantare la
Messa”. Cosa che in Vaticano, durante le messe del Papa e contrariamente a
quanto succede nelle Chiese non italiane, non avviene.
Neanche quando, come il 12 ottobre sera, papa Francesco e
oltre centomila fedeli erano raccolti in Piazza San Pietro per una veglia
mariana davanti alla statua della Madonna di Fatima: il canto dell’Ave Maria in
uso nel santuario della Cova da Iria sarebbe stato elevato all’unisono se non
fosse stato disturbato dai gorgheggi di chi, secondo le parole di papa
Francesco, pretende ancora di “dominare lo spazio della Chiesa”. Voci
insistenti vogliono diversi nunzi apostolici occupati a chiedere, in
Inghilterra, Scozia, Spagna, Stati Uniti e in alcuni Paesi dell’America Latina,
la disponibilità di noti maestri del coro e di illustri musicisti, a venire a
Roma per reimpostare e dirigere il canto durante le cerimonie pontificie.
L’internazionalizzazione della Chiesa passa anche attraverso
il coro della Cappella Sistina.
Filippo di Giacomo – Venerdì di Repubblica – 6 dicembre 2013
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