(….)
A casa nostra il vino era una costante e mi veniva
somministrato anche come farmaco. D’inverno, quand’ero raffreddata, mi
mettevano a letto temendo che il malanno evolvesse in polmonite e mi facevano
bere il “vin brulé, vino rosso scaldato sul fuoco, speziato con cannella e
chiodi di garofano, addolcito con lo zucchero.
A Natale, nel piatto dei ravioli in brodo, si
aggiungeva uno spruzzo di Brunello Barbi Colombini, un vino superbo che
compariva sulla tavola unicamente per quella grande festa. Poi, a fine pranzo,
ricevevo la mia fetta di panettone che inzuppavo nel bicchiere di Moscato
d’Asti Gancia.
A Capodanno il papà stappava una bottiglia di Prosecco
Carpené Malvolti. Ne bevevo anch’io e dopo mi abbuffavo di zuppa inglese fatta
con il pan di Spagna affogato nel Marsala Pellegrino.
Quando arrivavano in visita alcune signore, la nonna
offriva subito un “vermutino” Gancia e ne dava un bicchierino anche a me,
allungandolo con l’acqua.
C’era la guerra, c’era penuria di cibo, tuttavia in
casa nostra non mancavano vini e liquori.
Il vino entrava come ingrediente fondamentale anche
nella preparazione di risotti, carni, sughi, zabaioni.
Per non parlare dei giorni in cui non c’era quasi
niente da mangiare e, a merenda, la mamma spruzzava un po’ di grappa Nardini su
una fetta di pane e me la offriva con una spolverata di zucchero.
Quand’ero ormai ragazza, di fronte alle mie ribellioni
sconsiderate, la mamma urlava: “ Sei una deficiente!”.
Io, che nel frattempo ero diventata quasi astemia e
tale continuo ad essere, replicavo: “E ti stupisci? Pensa a tutto l’alcol che
mi hai fatto bere da bambina”.
(….)
Sveva Casati Modigliani – Il Diavolo E La Rossumata
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