Cosa ci insegna il caso Ai WeiWei
L’artista è blogger, attivista per i
diritti umani, viene perseguitato dal regime di Pechino. Ma non si ferma. E ora
sta preparando alcune installazioni nel famoso carcere americano di Alcatraz.
Soggetto: la perdita di libertà individuale.
L’ultimo
scritto dell’anno per definizione è uno scritto pieno di nostalgia. Nostalgia e
timore per ciò che ci aspetta e in nessun modo si riesce a prevedere. Sarebbe
importante avere in questa fase certezze. Certezza, che le cose possano andare
meglio e non peggiorare. La certezza che ciò che vediamo sia esattamente quel
che di telespettatori. Sarebbe meraviglioso poter scrivere senza essere
fraintesi e, soprattutto, senza essere strumentalizzati. Sarebbe altrettanto meraviglioso
poter leggere senza dover fare sempre la tara. Se dicessi che l’evasione
fiscale è un’accusa molto diffusa tra gli oppositori dei regimi totalitari,
sono certo che ad alcuni verrebbero in mente le vicende giudiziarie di Silvio
Berlusconi. E questo perché l’attenzione si fermerebbe alle parole”evasione
fiscale” e “accusa”. Naturalmente Berlusconi non è mai stato un oppositore e
non ha mai vissuto in alcun regime totalitario, anche se lui la pensa
diversamente. La mia affermazione, quindi, con ogni evidenza non si riferisce a
Berlusconi e non, ovviamente, all’Italia. Ma alla Cina di Ai WeiWei. Artista,
architetto, blogger, attivista per i diritti umani, dissidente: un uomo che
sfugge alle definizioni. Sarebbe meglio per conoscerlo avvicinarsi alle sue
opere e ai suoi spazi online in continuo aggiornamento.
AI WEIWEI AD APRILE 2011 viene arrestato con l’accusa di frode
fiscale. La notizia è diffusa da una fonte non ufficiale, un quotidiano cinese,
il Wen Wei Po, che negli ultimi decenni è stato organo di propaganda
filogovernativa e che aggiunge arbitrariamente alle accuse di evasione fiscale
a carico di Ai WeiWei anche quella di diffusione di materiale pornografico via
web e di bigamia. Per 81 giorni l’artista è detenuto in una località segreta
senza un regolare processo. A maggio 2011 alla moglie viene accordato il
permesso di incontrarlo. Lu Qiong riferisce che il marito è in buono stato di
salute, ma che non ha avuto la possibilità di poter parlare con lui liberamente
su come fossero realmente trascorsi quei due mesi di reclusione. La storia di
Ai Weiwei l’ho apprezzata in un documentario bellissimo trasmesso su Laeffe TV
“Ai Weiwei: Never Sorry” e subito mi è stata chiara una cosa: Ai è un
personaggio incredibilmente moderno, e in quanto tale, troverete persone capaci
di dirvi che ha costruito la sua fama sulla detenzione, come se qualcosa di
buono da 81 giorni di allontanamento dalla vita possa davvero venire.
Incredibile il cinismo cui ci siamo assuefatti: siamo diffidenti al punto che
tutto ciò che sa di buono diventa espressione di un buonismo che quasi non
riusciamo a tollerare, etichettiamo come falso tutto ciò che non abbia un
marchio di infamia evidente. Siamo convinti ormai che tutto sia una presa in
giro e navighiamo a vista per non essere fregati. Ma è ovvio che questa
attitudine ci sta penalizzando più di quanto non immaginiamo e più di quanto
non siamo disposti ad ammettere. E, dopo tutto, non ci rende immuni da sviste e
falsi profeti.
INVECE ESISTE UNA CONNESSIONE evidente tra l’arresto di Ai Weiwei
e l’inchiesta che aveva condotto sulla sicurezza nelle scuole dopo il terremoto
del Sichuan nel 2008 e con la notizia dell’arresto iniziano le petizioni online
cui partecipano, spesso come promotori, i principali musei del mondo. Ciò che
si vedeva a rischio erano il diritto inalienabile a un processo equo e la
libertà di espressione perché era evidente che Ai Weiwei fosse stato arrestato
da un regime che è solito reprimere il dissenso e che non apprezza le
provocazioni. La liberazione è avvenuta poi a giugno 2011, come fa notare più
di una fonte, poco prima che il premier Wen Jiabao intraprendesse un viaggio
programmato in Europa. Ora Ai Weiwei è impegnato in un nuovo progetto. Un
progetto necessario: da settembre 2014 ad aprile 2015 si apriranno per lui le
porte di Alcatraz. Per la prima volta un artista avrà accesso al più famoso
penitenziario del mondo e potrà attraversare con le sue opere quegli spazi. Le
installazioni non avranno alcun riferimento autobiografico, ma si occuperanno
di una questione fondamentale: la perdita di libertà individuale. Tutto questo
riguarda Cina e Stati Uniti, ma non posso fare a meno di ricordare la
condizione delle carceri italiane. Non posso fare a meno di ricordare che anche
il 2013 è stato un annus horribilis per
i suicidi in carcere. Non posso fare ameno di pensare che questa sia
un’emergenza, l’ennesima che la politica non riesce a considerare tale. Buon
2014.
Roberto
Saviano – L’Espresso – 2 gennaio 2014
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