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Nel dibattito al Senato sulla sfiducia ad Alfano, il
capogruppo 5 Stelle Nicola Morra prova a
evocare l’esternazione di Napolitano: “Ieri è intervenuto nel dibattito
politico chi sta sul Colle…”. Alla parola “Colle” il solitamente sonnacchioso
ma sempre ridanciano presidente Grasso scatta come la rana di Galvani: “Scusi,
senatore Morra, non sono ammessi riferimenti al capo dello Stato, lasciamolo
fuori da quest’aula”. Applausi dal Pd e dal Pdl. Ma Morra, recidivo: “Penso sia
ammissibile fare delle riflessioni, se poi sbaglierò dovranno i cittadini
valutare. Il presidente della Repubblica” Il presidente torna a monitarlo:
“L’ho invitata a lasciarlo fuori. Lei non può citarlo”. “Ma voglio citare quel
che ha detto il nostro presidente!” “No, lei non può citarlo”, Motta
imperterrito ricorda le parole di Napolitano sulla gravità del caso Kazako,
peraltro citate poco prima dal premier Letta per fare da scudo umano ad Alfano,
senza che Grasso mettesse becco. Appena Morra finisce la citazione della frase
del presidente, Grasso torna ad ammonirlo: “Chiusa la citazione”!”.
La scena si ripete quando Morra ringrazia sarcastico
Berlusconi perché, “con la sua presenza in aula (la terza dall’inizio della
legislatura, nda), ci fa capire chi sia effettivamente a reggere questa
maggioranza, insieme al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano”. A
quelle parole, come morso dalla tarantola, Grasso risalta su e gli tappa la
bocca: “Non si accettano riferimenti al capo dello Stato!”. A quel punto i 5
Stelle ironizzano (“Kazakistan docet”) e domandano: “Quali regolamenti
stabiliscono che il capo dello Stato non si possa neppure menzionare? E perché
Letta, Schifani e Zanda non sono stati censurati quando hanno citato
Napolitano?”. Grasso, imbarazzato, replica: “Non volevo censurare nessuno”.
Dunque il primo Comandamento della Monarchia del
Napolitanistan – “Non nominare il presidente invano” – scatta soltanto quando
si cita il capo dello Stato per criticarlo, o quando chi lo cita non offre sufficienti
rassicurazioni di volerlo elogiare; nominarlo per incensarlo invece si può,
anzi si deve. Un po’ come nella tradizione ebraica, che considera la divinità
talmente sacra da essere impronunciabile. Di qui il tetragramma YHWH, innominabile se non nella versione
Adonai, peraltro riservata alle
preghiere. Oltreché divino, dunque infallibile, incriticabile, inindagabile,
imperseguibile, impunibile, inarrestabile, inintercettabile, intestimoniabile,
diciamo pure inascoltabile, Sua Castità è anche ineffabile. Qualora lo si
volesse evocare, purché con la dovuta devozione e il capo coperto o almeno
velato, si dovranno usare le consonanti del pentagramma tratto dal codice
fiscale: NPLTN.
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Marco Travaglio – Viva Il Re!
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