Stavolta ti dico No
Siamo abituati a dire
sì.
Per essere popolari,
per evitare i conflitti.
Ma è tempo di
ristabilire le priorità
C’è chi dice no. Ma è un’eccezione. Perlopiù oggi, per tutta
una serie di ragioni, tendiamo a dire di sì. Al lavoro, in famiglia, con gli
amici, in amore. Non ci sarebbe nulla di male. Se non fosse che troppo spesso
diciamo sì ma vorremmo dire di no. E allora reprimiamo, coviamo rabbia, e il
rapporto con quella persona peggiora, invece di migliorare.
E ora di dire basta, di dire di no. Dall’America
all’Inghilterra all’Italia, libri e saggi stanno invitando a cambiare marcia, a
rivalutare il sano gran rifiuto. L’ultimo in ordine di tempo è stato
l’autorevole bimestrale americano Psychology
Today, che ha dedicato l’ultima copertina a “Il Potere del No!”. “Raramente
si celebra il no, questa specie di grata di metallo con cui mutiamo la finestra
tra noi e l’influenza degli altri”, scrive nel saggio di apertura la psicologa
e scrittrice Judith Sills. “E’ un potere segreto, perché è facilmente
equivocato ed è difficile da gestire”. Il sì ha, ha per così dire, un ufficio
stampa migliore: passa per la risposta di chi rischia, di chi vanta coraggio e
un cuore buono. Mentre il no viene confuso con la negatività. Ma è un errore.
E’ vero, a volte no e negatività sono sinonimi: di impotenza, scontentezza
petulante, paura infondata. Ma il no può essere anche altro: è un momento di
scelta chiara, sa annunciare, seppure indirettamente, qualcosa di positivo che
è in noi. “Io non firmo”, perché non è quella la mia verità. “Non contare su di
me”, perché non mi sentirei a mio agio. “No, grazie”, perché, anche se ti
sentirai ferito, i miei bisogni in questo caso vengono prima dei tuoi. Il no
dice: “Io sono questo, ecco i miei valori”
Definisce il limite tra noi e gli altri, e rappresenta una
“consapevolezza potente, solitaria e adulta”, che protegge dagli abusi altrui,
che agisce anche nei nostri confronti, come forma di autodisciplina verso la
nostra rabbia o, ad esempio, verso i nostri presunti bisogni di un altro drink
o di un altro acquisto non necessario.
“Il no sembra essere
uno strumento che allontana le persone e impedisce di consolidare i rapporti”,
ci spiega lo psicologo Paolo Ragusa, da ottobre scorso in libreria con Imparare a dire no (Rizzoli), “invece è
il modo adeguato per incontrare gli altri, sostanziare i rapporti ed esercitare
in modo sano la propria disponibilità. Siamo vittime del mito del sì, di una
impossibile disponibilità totale”. Lo pensa anche Mike Clayton, scrittore di
libri di management come il recente e-book Si
può dire No (De Agostini), secondo il quale è tutta una questione di tempo
e priorità, ed è ancora più urgente rendersene conto in tempi di crisi
economica: “La maggior parte delle persone ricorda quanto sia stato importante
dire sempre sì all’inizio della carriera. Ma oggi viviamo una fase dominata da
internet e dal social media, entrare in contatto è più facile, siamo bombardati
da richieste e proposte, ed è fondamentale sapere scegliere le più importanti.
Fateci caso, chi ha successo, chi è al vertice di una società, non è che ha
meno cose da fare… è che sa scegliere meglio a quante e quali cose dedicarsi”.
Ma perché, insomma, preferiamo dire si? Per evitare
conflitti. Perché non vogliamo far soffrire gli altri (e infliggere una ferita
fa soffrire anche noi). E perché, soprattutto, vogliamo piacere, essere
popolari. “Crediamo di celebrare gli altri dicendo loro sì, e invece non
facciamo che celebrare noi stessi, la nostra immagine fasulla di persone buone. Il sì troppo spesso
è narcisista”e, ragiona Ragusa, che da un punto di vista storico vede uno
spartiacque nel Sessantotto e nel suo “Il est interdit d’interdire!” (“Vietato
vietare”): “Si è passati da un no autoritario a un sì accomodante, insomma da
un radicalismo a un altro. Non si è elaborata abbastanza una strategia che ci
spingesse a valutare ogni volta se è un no o un sì a far evolvere il rapporto
con i colleghi o con la famiglia”. Per Ragusa, a rivalutare il no dovrebbero
essere soprattutto i genitori, e in particolare il padre: “La crisi del
maschile e del paterno fa si che gli uomini scimmiottino le donne. Ma così al
sì dell’accudimento e della cura soggiace senza scampo il no del limite e del
conflitto, che invece a volte è l’unico a mettere davvero in relazione due
persone. La “dieta” dei nostri figli ha bisogno anche del no paterno. Non si
possono mangiare solo proteine o solo carboidrati, no? Alcuni no sono inutili o
addirittura dannosi, altri no costituiscono invece una spinta vitale: ci
permettono di stare al mondo , di relazionarci proficuamente. Che le donne
propendono a dire sì lo sostiene anche Claytonfette, non possono deludere
nessuno, né in casa né al lavoro", ma per ragioni culturali e sociali:
“Oggi devono dimostrare di essere perfette, non possono deludere nessuno, né in
casa né al lavoro”.
Certo, spesso è tutt’altro che facile opporre un no, che si
sia uomini o donne. Secondo i neuro scienziati, un no è sempre più potente di
un sì: il cervello reagisce più rapidamente, con più intensità, lo “sente” di
più. Sono i “pregiudizi negativi” del cervello descritti dallo psicologo
americano Roy F. Baumeister, mentre il suo collega John Cacioppo
dell’Università di Chicago ha dimostrato che l’eco di un rifiuto dura più di
complimento. Il cammino che conduce
verso un libero e sano alternarsi di sì e no è tortuoso, ma è una battaglia
cruciale. Dire di no è fondamentale per stabilire un equilibrio vita/lavoro,ma
è anche la cartina di tornasole della nostra moralità. E del nostro amore: “E’ un
test – conclude Judith Sills – Se sentiamo di non poter dire di no, in certe
occasioni o su certe questioni, allora quella persona non ci sta amando, ci sta
solo controllando”.
Daniele Castellani Perelli – Donna di Repubblica – 30
novembre 2013
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