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venerdì 6 dicembre 2013

Lo Sapevate Che: Scelte Difficili...


Stavolta ti dico No

Siamo abituati a dire sì.
Per essere popolari, per evitare i conflitti.
Ma è tempo di ristabilire le priorità

C’è chi dice no. Ma è un’eccezione. Perlopiù oggi, per tutta una serie di ragioni, tendiamo a dire di sì. Al lavoro, in famiglia, con gli amici, in amore. Non ci sarebbe nulla di male. Se non fosse che troppo spesso diciamo sì ma vorremmo dire di no. E allora reprimiamo, coviamo rabbia, e il rapporto con quella persona peggiora, invece di migliorare.
E ora di dire basta, di dire di no. Dall’America all’Inghilterra all’Italia, libri e saggi stanno invitando a cambiare marcia, a rivalutare il sano gran rifiuto. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’autorevole bimestrale americano Psychology Today, che ha dedicato l’ultima copertina a “Il Potere del No!”. “Raramente si celebra il no, questa specie di grata di metallo con cui mutiamo la finestra tra noi e l’influenza degli altri”, scrive nel saggio di apertura la psicologa e scrittrice Judith Sills. “E’ un potere segreto, perché è facilmente equivocato ed è difficile da gestire”. Il sì ha, ha per così dire, un ufficio stampa migliore: passa per la risposta di chi rischia, di chi vanta coraggio e un cuore buono. Mentre il no viene confuso con la negatività. Ma è un errore. E’ vero, a volte no e negatività sono sinonimi: di impotenza, scontentezza petulante, paura infondata. Ma il no può essere anche altro: è un momento di scelta chiara, sa annunciare, seppure indirettamente, qualcosa di positivo che è in noi. “Io non firmo”, perché non è quella la mia verità. “Non contare su di me”, perché non mi sentirei a mio agio. “No, grazie”, perché, anche se ti sentirai ferito, i miei bisogni in questo caso vengono prima dei tuoi. Il no dice: “Io sono questo, ecco i miei valori”
Definisce il limite tra noi e gli altri, e rappresenta una “consapevolezza potente, solitaria e adulta”, che protegge dagli abusi altrui, che agisce anche nei nostri confronti, come forma di autodisciplina verso la nostra rabbia o, ad esempio, verso i nostri presunti bisogni di un altro drink o di un altro acquisto non necessario.
“Il no sembra  essere uno strumento che allontana le persone e impedisce di consolidare i rapporti”, ci spiega lo psicologo Paolo Ragusa, da ottobre scorso in libreria con Imparare a dire no (Rizzoli), “invece è il modo adeguato per incontrare gli altri, sostanziare i rapporti ed esercitare in modo sano la propria disponibilità. Siamo vittime del mito del sì, di una impossibile disponibilità totale”. Lo pensa anche Mike Clayton, scrittore di libri di management come il recente e-book Si può dire No (De Agostini), secondo il quale è tutta una questione di tempo e priorità, ed è ancora più urgente rendersene conto in tempi di crisi economica: “La maggior parte delle persone ricorda quanto sia stato importante dire sempre sì all’inizio della carriera. Ma oggi viviamo una fase dominata da internet e dal social media, entrare in contatto è più facile, siamo bombardati da richieste e proposte, ed è fondamentale sapere scegliere le più importanti. Fateci caso, chi ha successo, chi è al vertice di una società, non è che ha meno cose da fare… è che sa scegliere meglio a quante e quali cose dedicarsi”.
Ma perché, insomma, preferiamo dire si? Per evitare conflitti. Perché non vogliamo far soffrire gli altri (e infliggere una ferita fa soffrire anche noi). E perché, soprattutto, vogliamo piacere, essere popolari. “Crediamo di celebrare gli altri dicendo loro sì, e invece non facciamo che celebrare noi stessi, la nostra immagine  fasulla di persone buone. Il sì troppo spesso è narcisista”e, ragiona Ragusa, che da un punto di vista storico vede uno spartiacque nel Sessantotto e nel suo “Il est interdit d’interdire!” (“Vietato vietare”): “Si è passati da un no autoritario a un sì accomodante, insomma da un radicalismo a un altro. Non si è elaborata abbastanza una strategia che ci spingesse a valutare ogni volta se è un no o un sì a far evolvere il rapporto con i colleghi o con la famiglia”. Per Ragusa, a rivalutare il no dovrebbero essere soprattutto i genitori, e in particolare il padre: “La crisi del maschile e del paterno fa si che gli uomini scimmiottino le donne. Ma così al sì dell’accudimento e della cura soggiace senza scampo il no del limite e del conflitto, che invece a volte è l’unico a mettere davvero in relazione due persone. La “dieta” dei nostri figli ha bisogno anche del no paterno. Non si possono mangiare solo proteine o solo carboidrati, no? Alcuni no sono inutili o addirittura dannosi, altri no costituiscono invece una spinta vitale: ci permettono di stare al mondo , di relazionarci proficuamente. Che le donne propendono a dire sì lo sostiene anche Claytonfette, non possono deludere nessuno, né in casa né al lavoro", ma per ragioni culturali e sociali: “Oggi devono dimostrare di essere perfette, non possono deludere nessuno, né in casa né al lavoro”.
Certo, spesso è tutt’altro che facile opporre un no, che si sia uomini o donne. Secondo i neuro scienziati, un no è sempre più potente di un sì: il cervello reagisce più rapidamente, con più intensità, lo “sente” di più. Sono i “pregiudizi negativi” del cervello descritti dallo psicologo americano Roy F. Baumeister, mentre il suo collega John Cacioppo dell’Università di Chicago ha dimostrato che l’eco di un rifiuto dura più di complimento.  Il cammino che conduce verso un libero e sano alternarsi di sì e no è tortuoso, ma è una battaglia cruciale. Dire di no è fondamentale per stabilire un equilibrio vita/lavoro,ma è anche la cartina di tornasole della nostra moralità. E del nostro amore: “E’ un test – conclude Judith Sills – Se sentiamo di non poter dire di no, in certe occasioni o su certe questioni, allora quella persona non ci sta amando, ci sta solo controllando”.

Daniele Castellani Perelli – Donna di Repubblica – 30 novembre 2013

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