Ogni auto ha bisogno
dei documenti del ministero e di quelli dell’Aci. Un doppione che nessuno
riesce a eliminare
Non bastassero il caro benzina e il rialzo delle polizze
assicurative, c’è una voce di spesa occulta che a chi ha una vettura (ma non
solo) costa decine di milioni l’anno: l’esistenza di due registri
automobilistici. Un paradosso tipico del nostro Paese dove, caso unico al
mondo, servono due distinti documenti per identificare un veicolo: la carta di
circolazione (obbligatoria e valida in tutta la Ue) e il certificato di
proprietà, richiesto solo in Italia e indispensabile unicamente all’atto della
vendita. L’una è rilasciata dalla
Motorizzazione civile, che fa capo al Ministero dei Trasporti; l’altro è di
esclusiva competenza del Pubblico registro automobilistico (Pra), gestito
dall’Aci. Insomma, chi garantisce la conformità delle macchine alle leggi in
vigore non coincide con chi sovraintende all’aspetto giuridico e patrimoniale.
E nonostante numerose operazioni, come i passaggi di proprietà, vadano
comunicate a entrambi gli enti, non c’è verso di integrare i due archivi.
Risultato, come sa bene chi possiede un’auto: doppioni di documenti, dei costi
di gestione e (immancabili) degli oneri fiscali. Una follia. Eppure qualunque
riforma pare impossibile. Ci hanno provato, quando erano ministri, Giulio
Tremonti, Antonio Di Pietro e Pier Luigi Bersani, ma ogni vola politica ha
levato gli scudi per interessi di bottega.
L’ultimo tentativo è andato in scena qualche settimana fa, in
commissione Trasporti al Senato, durante la discussione del decreto
Semplificazione, che prevede una serie di misure per snellire le procedure del
Pra. Partito democratico, Lega e Movimento 5 Stelle volevano sollecitare il
governo a una revisione più generale, ma hanno trovato la strenua opposizione
del Pdl, che negli ultimi anni – come hanno mostrato numerose nomine – ha
considerato l’Aci il proprio cortile di casa. “La duplicazione dei registri
automobilistici è un falso problema”, ha tagliato corto il relatore, l’ex An
Francesco Aracri. Più esplicito il presidente della commissione, Altero Matteoli: “Se censurassimo l’attuale
sistema, si precostituirebbero le condizioni per sottrarre all’Aci le sue
attuali competenze e si creerebbe un serio problema occupazionale”.
Difficile dar torto dell’ex ministro. Con le sue 106 sedi
provinciali il Pra dà lavoro in tutta Italia all’incirca a 2,500 persone per le
quali, secondo le stime, si spendono quasi 130 milioni di euro (…) . Una cifra
cui vanno aggiunti quasi 40 milioni per la gestione del sistema informativo.
Non solo i conti sono in rosso (meno 23 milioni nel 2012). In proporzione, i
costi risultano assai maggiori rispetto a quelli Motorizzazione, che di sedi ne
ha 104, ma spende quasi la metà per un archivio informativo molto più complesso
e che peraltro tratta il triplo delle pratiche. Non bastasse la sostanziale
duplicazione, al netto delle spese di gestione la beffa è soprattutto per gli automobilisti, che per ogni
operazione si trovano a pagare due volte le imposte. Quella di bollo, ad
esempio, nel 2012 ha fruttato 287 milioni tramite il Pra e 133 milioni con la
Motorizzazione.
Quello delle pratiche auto è un giro d’affari da 2 miliardi
in cui, fra imposta di trascrizione (che nel 2012 ha portato nelle casse delle
province 1,4 miliardi), marche per l’autentica della compravendita (80
milioni), stampa delle targhe affidate al Poligrafico (68 milioni), diritti
postali sui versamenti (30 milioni) e via dicendo, a guadagnarci è sempre lo
Stato.
E il salasso non è finito. Per compensare la riscossione
gratuita dell’Imposta di trascrizione, prima forma di “retribuzione” dalla
parte delle province, a marzo un decreto del governo Monti ha aumentato del 30
per cento le tariffe del Pra, ferme da un ventennio: grosso modo 30 milioni di
euro, cui vanno aggiunti altri 45 milioni derivanti dal rialzo dell’imposta di
bollo stabilito a giugno.
Paolo Fantauzzi – Venerdì di Repubblica – 12 dicembre 2013
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