Mille anime morte
vagano per Roma
Il Parlamento conta
sempre meno. E perde autorità e prestigio: le leggi si fanno altrove, e la
politica pure.
Come si vede dalle
regole elettorali e dalle riforme costituzionali. Forse hanno ragione in Islanda…
E voi, ai fantasmi, ci credete? Probabilmente no, ma
probabilmente ne avete già incontrati un paio, benché non ve ne siate accorti.
D’altronde non servono sedute spiritiche, basta una passeggiata nel centro di
Roma. Dove due antichi edifici (Montecitorio e palazzo Madama) sono infestati
da mille larve trasparenti: anime morte, di cui però nessuno piange la
scomparsa. I mille parlamentari della Repubblica italiana.
No, non è antiparlamentarismo, non è il sentimento becero che
un secolo fa dilatava le pupille a Benito Mussolini. E’ un dato di fatto,
ahimè, e sarebbe stolto polemizzare con i fatti: hanno la testa dura, come
diceva Lenin. E’ un fatto la perdita d’autorità e prestigio delle assemblee
rappresentative. E’ un fatto la crisi nera della loro stessa funzione, dato che
Scilipoti e Razzi non rappresentano nessuno. E’ un fatto che la politica sia
emigrata altrove – nei movimenti, nelle piazze, nel popolo del Web. E’ infine
un fatto che persino la loro occupazione principale (mettere un timbro sulle
leggi) venga ormai esercitata in altre stanze, da altri pubblici esercenti.
Le Prove? Fermiamo l’orologio su una data: 29
aprile 2013. Quel giorno Enrico Letta espone il suo programma di governo,
dichiarando che intende riesumare la centralità del Parlamento. Meglio tardi
che mai, dopo le angherie del gabinetto Berlusconi, dopo l’algido disprezzo del
gabinetto Monti. Dunque stop all’abuso dei decreti, ai maxiemendamenti, ai voti
di fiducia che sequestrano le assemblee legislative. Ma si dà il caso che un
mese dopo erano già 5 i decreti legge sfornati dal nuovo esecutivo. Mentre in
quest’ultimo mese di novembre serve un pallottoliere per contare gli atti
normativi del governo: 4 decreti del presidente del Consiglio, 2 regolamenti,
15 disegni di legge, 9 decreti legislativi esaminati dal Consiglio dei ministri.
Nello stesso arco di tempo il Parlamento ha licenziato un’unica legge solitaria
(la n.128), peraltro sotto dettatura di palazzo Chigi, trattandosi della
conversione d’un decreto. Anzi no, si è sobbarcato pure un’altra fatica:
l’approvazione notturna del maxiemendamento alla legge di stabilità. Come la
tradizione confezionato dal governo, e senza risparmiare sulla stoffa: 531
comuni, 57.907 parole.
Insomma, i nostri cari estinti non hanno un gran daffare. Si
sono fatti confiscare da Letta e Quagliarello pure le riforme costituzionali;
eppure questo menù, da che mondo è mondo, dovrebbe cucinarsi in Parlamento.
Perché i cambiamenti della Carta toccano tutti, maggioranza e opposizione. E
perché l’opposizione abita alle Camere, non a palazzo Chigi. Del resto l’inedia
s’estende all’altra regola del gioco, la legge elettorale. Ci avevano promesso
in mille lingue di correggerla, sono rimasti con la lingua penzoloni. E il
rapporto di fiducia con l’esecutivo? Non serve un nuovo voto, dopo l’addio di
Forza Italia? Sì, no, forse. Intanto la Camera vota a ranghi compatti la
fiducia al ministro Cancellieri (405 in favore, 154 contro), mentre gli
italiani ne invocano, altrettanto compatti, le immediate dimissioni (89 per
cento, in base a un sondaggio del “Messaggero”. Ma il Parlamento ormai non
parla con l’Italia. Né con i principali leader politici italiani (Renzi,
Grillo, Berlusconi), che lì dentro non hanno diritto di parola, dato che non
hanno neanche un seggio.
Domanda: e allora a che diavolo serve farsi eleggere? Risposta:
serve a procurarsi una ricca busta paga, nonché l’indennità dagli arresti.
Quanto meno alle nostre latitudini; ma sta di fatto che l’eclissi delle
assemblee rappresentative è un fenomeno mondiale. Negli Usa il politologo
Benjamin Barber propone di sostituirle con un congresso di sindaci (If Mayors
Ruled the World, Yale University Press, 2013). In Francia Sègolène Royal, già
nel 2006, evocò giurie di cittadini sorteggiati. In Islanda, nel 2011, hanno
emendato la Costituzione aprendo una pagina su Facebook. Ovunque si
moltiplicano esperienze di democrazia diretta, partecipativa, deliberativa. E
in Italia? Tutti conservatori. Non hanno capito che non c’è rimasto nulla,
proprio nulla, da conservare in frigorifero.
Michele
Ainis – L’Espresso 12 dicembre 2013
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