I Non Credenti E La
Loro Coscienza
E’ solo ad essa che
devono obbedire secondo quanto il papa ha indicato rispondendo a una delle mie
domande.
E io condivido
La lettera che papa Francesco ja avuto la gentilezza di
indirizzarmi rispondendo ad alcune domande che io gli avevo rivolto in due
articoli pubblicati su “Repubblica”, ha suscitato un ampio dibattito che ha
arricchito il dialogo tra credenti e non credenti, ponendo però un altro tema
non meno importante: in che cosa credono i non credenti?
Il Papa ha dato già una sua risposta e una sua indicazione.
Ha detto: debbono credere e obbedire alla loro coscienza.
Ho Riflettuto A Lungo sia su quella domanda che sulla
risposta del Papa che perfettamente condivido. Lo faccio da molti anni ed ora
vorrei esprimere su questa pagina le mie riflessioni, con una premessa però:
ogni individuo ha un proprio pensiero e quindi una propria coscienza. Gli atei
hanno un pensiero comune per quanto riguarda il suo aspetto negativo: non
credono nella divinità trascendente, onnisciente, onnipotente. Ma differiscono
nella positività; il rifiuto è uguale per tutti ed è il “no”; il “sì” invece
differisce, ciascuno di loro (di noi) ha il proprio, il soggettivismo agisce su
questo come su altri argomenti che chiamano in causa il pensiero.
Voltaire, tanto per fare l’esempio d’uno dei capofila del
pensiero illuminista, credeva addirittura in un Creatore trascendente che aveva
creato il mondo ma subito dopo si era ritirato per sempre dalle vicende alle
quali il mondo e le creature che lo popolano sarebbero andati incontro. Era un
“teista” Voltaire e non fu certo il solo nella storia delle idee. Lo furono
anche Descartes, Leibniz, Kant. Hegel, Schelling e tutto l’idealismo,
soprattutto nella sua variante romantica.
Non lo furono invece Diderot e d’Holbach e non lo furono Marx
né Hobbles né Feurbach. Erano convinti che la materia fosse la base del mondo e
della vita. Una materia la cui evoluzione era dominata in parte dal caso e in
parte dalle leggi che operavano quando la natura avesse prodotto “forme”. In
qualche modo precedevano Darwin, sebbene Darwin separasse nettamente la scienza
dalla religione.
Qui nasce un secondo problema: quello del rapporto tra
religione e scienza. Procedono separatamente e non si influenzano reciprocamente,
oppure sono in qualche modo collegate l’una con l’altra? E quando prendono vie
diverse, quale delle due prevale sull’altra? Sono, come si vede, due belle
domande: in che cosa crede l’ateo? Qual è il rapporto tra religione e scienza?
A Questo Punto tuttavia dobbiamo chiamare in causa
altri pensatori che hanno marcato anch’essi – oltre quelli già citati – la
storia delle idee: i presocratici, Democrito, Lucrezio e le filosofie
orientali, il buddismo, e il taoismo. E anche Copernico e Galileo.
Questi ultimi due non si pongono il tema generale del
rapporto tra scienza e religione, ma agiscono su un terreno volutamente
limitato: correggono la religione tutte le volte in cui la sua narrazione del
mondo entra in contatto con la realtà scientifica: non è la terra il centro del
nostro sistema bensì il sole e i pianeti girano intorno a lui; ogni stella è un
sole e i pianeti vivono di luce riflessa.
I presocratici - ma
anche le filosofie orientali – pongono l’essere come base e tessuto
dell’universo e gli enti come le specifiche forme che l’essere assume. Esiodo
descrive l’essere come il caos dal quale le forme emergono per tocco divino.
Per Parmenide l’essere sta, per Eraclito l’essere diviene, per Empedocle
l’essere è formato dai quattro elementi che dominano il mondo e cioè l’aria,
l’acqua, il fuoco, la terra.
Dio è forse l’essere e le creature ne sono gli enti? Per
certi aspetti questo è il pensiero di Heidegger, ma non quello di Schopenhauer
e soprattutto di Nietzsche.
In questa appena accennata rassegna di non credenti o
semi-credenti o credenti in “qualche cosa” che non si riesce a precisare ma che
comunque c’è, il mio pensiero è, ovviamente, una scheggia infima ma comunque
vale la pena che lo esprima o, se volete, mi fa piacere dirlo.
Io penso che l’essere altro non sia che il caos il quale
tutto contiene: materia energetica, campi elettromagnetici, il tutto privo di
leggi e di forma, al di fuori di tempo e di spazio.
Si può dire che il caos è Dio? Certo, si puù dire, ma dà alle
nostre menti un’idea di Dio forse mai pensata. Se le parole hanno un senso e se
la parola Dio ha finora significato una forza ordinatrice, intelligente e
creativa di specifiche forme e di specifiche leggi, questo non può essere
identificato con il caos.
Io credo nel caos, non solo originario ma permanente e in
perenne divenire. Se il “Big Bang” ipotizzato dalla scienza si è in realtà
verificato, esso deve dunque partire dal caos. L’energia che esso contiene ad
un certo punto esplode e il caos dopo quell’esplosione genera forme. Passano
alcuni milioni di “nano-secondi” e il caos si riversa interamente nelle forme,
ogni forma ha le sue leggi ma il caos resta dentro ciascuna di loro. L’essere
sta (Parmenide) e al tempo stesso diviene (Eraclido).
Tutto ciò si può esprimere con una formula matematica?
Einstein l’ha fatto. Si può esprimere con la fisica-chimica delle particelle
elementari? La teoria dei “quanti” l’ha fatto.
Il Caos E’ Energia. Le forme , quando muoiono perché
tutto ciò che ha un principio avrà sempre una fine, restituiscono la loro energia all’intero creato.
Si può chiamare Dio l’energia? Certo si può con l’avvertenza
che l’energia è immanente sta dentro tutte le forme e anima la vita e il caos
che sta dentro di loro. “Deus sive natura” diceva Spinoza. Appunto.
Eugenio Scalfari – L’Espresso – 3 Ottobre 2013
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