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lunedì 29 maggio 2017

Lo Sapevate Che: Quel piccolo, confortante dubbio del pastore che odiava i neri...



“Non ho paura della neve. Ho paura di quell’altra cosa” mi disse Egidio quattro mesi fa, con la pala in mano, pensando al terremoto che non fini mai. I suoi 85 anni non gli impedivano di lottare contro il fato che sembrava aver concentrato tutte le sfighe nel cuore dell’Abruzzo, provocando vittime, crolli, disagi infiniti e l’isolamento di decine di frazioni, irraggiungibili per giorni, come Forca di Valle, dove abitava Egidio. Quattro mesi dopo sono tornato su quei tre chilometri percorsi a piedi a gennaio, cercando le persone che avevo incontrato. E ho ritrovato lui. “Ti ricordi? Sono venuto quando c’era la neve” gli dico. “Stai a pensà alla neve, io sto a pensà alla morte” mi risponde lui, ostentando una rassegnazione generazionale tanto forte nelle parole quanto assente nelle azioni. Quattro mesi fa aveva in mano una pala per la neve, ora armeggia con una scodella per le pecore. “Questi sono il mio capitale” dice indicandomi agnelli appena nati nella stalla. Su richiesta me ne mette uno in braccio, faccio battute su Berlusconi ma lui si preoccupa solo di quanto le mie mani stiano per puzzare di pecora come le sue. “Voglio tribolare (sinonimo di “lavorare”) fino alla mia morte, basta che non soffro” dice Egidio chiudendo la stalla. Sembra tutto perfetto, poetico, romantico, solitario y final. Ma bruscamente la conversazione svolta a destra. “Oggi c’è mancato poco che non ho piàto a palate un nero” borbotta Egidio. Chiedo lumi, lui insiste, “Non li posso vedere, che vengono a fare qui? Morissero sulla loro terra, puzzano, fanno l’elemosina, li devo ammazzare, prendono 35 euro al giorno, io pago e loro mangiano”, e latro repertorio del genere, il tutto con colonna sonora di belati a ricordarmi dove sono. Spiazzato, mi aggrappo alla biografia di Egidio, da lui orgogliosamente ostentata fino a poco prima “Sono stato fino a 1.500 metri sotto terra in Belgio, in miniera, vent’anni. E prima sei mesi in Germania, a pure il culo delle vecchie tedesche, dalle 4 di mattina alle 10 di sera, per 4 marchi al giorno. E mi trattavano pure male” ripete Egidio tra un’invettiva e l’altra contro l’immigrazione. Provo a fargli notare le somiglianze tra lui e i “neri”, neri che spesso a lavorare qui nemmeno ci arrivano perché qualcosa o qualcuno li ammazza prima. Improvvisamente, oltre ogni aspettativa, Egidio si blocca, oggi come quattro mesi fa, pensando al terremoto. L’angoscia di essere diventato come il tedesco che lo trattava male si mischia alla consapevolezza di essere stato “nero” anche lui. Quella pausa nella sua nostalgica logica radicata negli anni mi riempie di speranza. Dura poco, ma è un inizio, anche a 85 anni.
Diego Bianchi – Il Sogno Di Zoro – Il Venerdì di La Repubblica – 26 maggio 2017 -

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