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martedì 9 maggio 2017

Lo Sapevate che: La colpa di Gabriele Del Grande, essere tornato presto e vivo...



“Intanto fatemi dire grazie, che ancora non l’ho fatto”. Gabriele Del Grande, documentarista, giornalista indipendente, punto di riferimento da anni per chiunque voglia approfondire le mille variabili legate al grande, tragico e fantastico romanzo dell’immigrazione, da quando è rientrato in Italia non ha ancora avuto modo di realizzare davvero quello che succedeva qui durante la sua inspiegabile reclusione in Turchia. Ospite di Gazebo, due giorni dopo il tanto sperato quanto imprevisto ritorno a casa, si rende conto per la prima volta del diluvio di dichiarazioni tweet e iniziative dal basso e dall’alo che ne hanno preteso la liberazione durante i 12 giorni di “violenza istituzionale” (parole di Del Grande) che lo hanno visto protagonista. Fa impressione averlo accanto quando solo ventiquattro ore prima le voci che giravano più insistentemente erano quelle di un possibile prolungamento del suo fermo fino a sei mesi. E invece me lo ritrovo seduto vicino a raccontare un’avventura che, per un animo per natura e professione curioso, fino ad un certo punto gli èanche sembrata un’opportunità. Lui che era partito per scrivere un libro senza editori che non fossero i tanti estimatori del suo lavoro che avevano aderito al crowdfunding online, si ritrova improvvisamente nella difficile terra di nessuno di coloro che, avendo vissuto una brutta avventura, invece di raccontare le storie degli altri si ritrova a dover cominciare dalla propria. Ragion per cui, già a pochi minuti dal suo rilascio, non è difficile trovare online o sui giornali che accusavano Enzo Baldoni di fare “vacanze intelligenti”, illazioni circa i suoi finanziamenti poco cristallini (“Lo paga Soros”) o sulle sue presunte simpatie per l’Isis, fino a chi lo definisce “tronista” o prevede per lui un futuro da candidato buono per le prime elezioni utili. Infine, o tutt’intorno, l’accusa di cercare pubblicità, di voler promuovere se stesso e il libro che sarà. Quello che tracima dai social network, è la totale, disarmante e colpevole mancanza di strumenti per capire quanto ci sia bisogno di gente che decide di ascoltare e raccontare storie sporcandosi tra i mille livelli di lettura di fenomeni decennali e maledettamente complicati da comprendere, sempre e comunque, prioritariamente, dalla parte degli ultimi. Quello che manca è l’orgoglio di poter conoscere il lavoro di Del Grande e di quelli come lui. La “colpa” di esser tornato vivo, per chi spesso non si ferma nell’insulto o nel complottismo nemmeno davanti alla morte, di questi tempi può sembrare un affronto troppo grave da sopportare.
Diego Bianchi –Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di La Repubblica – 5 Maggio 2017 -

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