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venerdì 26 maggio 2017

Lo Sapevate Che: Come difendere il proprio cervello dagli intrusi...



Prima si introduce una nuova tecnologia, solo più tardi se ne comprendono appieno le conseguenze. Sta succedendo anche con le neurotecnologie. Un esempio di qualche anno fa: in India una donna è stata condannata all’ergastolo sulla base di uno scanning cerebrale; seduta in aula, piena di elettrodi sul cranio, ha ascoltato il resoconto dell’omicidio di cui era stata accusata mentre le immagini del suo cervello venivano analizzate da un software. Secondo gli esperti, le immagini mostravano attività neurali riconducibili alla rievocazione di quei fatti. Anto è bastato per la condanna. L’uso delle tecnologie in grado di monitorare (o modificare) l’attività cerebrale nel frattempo è arrivato nei laboratori delle multinazionali, degli eserciti, dell’intelligence, ma non nelle case. In un articolo appena uscito su Life Sciences, Society and Policy un giurista dell’Università di Zurigo, Roberto Adorno, e un ricercatore di neuroetica all’Università di Basilea, Marcello Ienca, si augurano che si metta presto mano a un aggiornamento dei diritti umani. Si concentrano su quattro. Il primo è la libertà cognitiva, visto che ormai il pensiero può essere letto (attraverso il neuroimaging, che consente di indagare su ricordi, stati mentali, persino preferenze politiche) e anche manipolato grazie si dispositivi di stimolazione cerebrale, che tramite impulsi elettromagnetici, riescono a modificare l’attività del cervello. Poi c’è il diritto alla continuità psicologica: “Molti eserciti usano la stimolazione magnetica cerebrale per aumentare la resistenza dei soldati e per attenuare memorie traumatiche, il che può condurre a veri cambiamenti di personalità, con ripercussioni profonde sulla psiche” dice Ienca. “Versioni commerciali di questi dispositivi si possono ormai acquistare su internet anche per cento dollari, e sempre più persone li usano per potenziare le proprie prestazioni cerebrali. Ma nessun diritto, oggi, tutela espressamente la sfera mentale da eventuali abusi, o danni”. C’è poi il caso di multinazionali come Google, Disney, Cbs, che ricorrono al neuroimaging per studiare le preferenze dei consumatori, con studi che non sono sottoposti alle stesse linee guida della ricerca clinica. “A che condizioni, per esempio, si possono estrarre informazioni dal cervello? Con chi si possono condividere? Impiegati, compagnie assicurative, Stato? Ecco, i presupposti per un nuovo diritto alla privacy mentale”. Infine, gli analisti prevedono che entro una ventina d’anni il controllo cerebrale diretto, tramite dispositivi indossabili o impiantati nel cervello, affiancherà la tastiera nell’interazione tra uomo e computer. E questi impianti potrebbero essere hackerati. “In questo caso, e ci sono già studi a riguardo, si configura il pericolo del furto di informazioni direttamente dal cervello, ma anche il rischio di danni cerebrali”. Di qui, la necessità di garantire il quarto diritto, quello all’integrità mentale.
Giulia Villoresi – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 19 maggio 2017 -

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