10 anni dal disastro nucleare di Fukushima
È passato un
decennio dal terremoto e dallo tsunami che innescarono l’incidente alla
centrale nucleare di Fukushima. Ecco come stanno oggi le cose
Alle 14:46 dell'11 marzo 2011,
esattamente dieci anni fa, a 70 chilometri della costa della regione di Tōhoku, nel Giappone settentrionale,
si verificava una scossa di terremoto di magnitudo 9, il sisma più potente mai
misurato in Giappone e il quarto a livello mondiale. Il terremoto, il cui
ipocentro era situato in mare alla profondità di 29 chilometri circa, provocò
l'innalzamento del livello dell'oceano Pacifico di oltre un metro e innescò un
violentissimo tsunami con
onde alte fino a 15
metri. L'acqua travolse tutto quello che incontrava, compresa
la centrale
nucleare di Fukushima Dai-ichi,
mettendo fuori uso i gruppi di generatori di emergenza che alimentavano i
sistemi di raffreddamento di tre dei suoi quattro reattori: di conseguenza, i
noccioli in essi contenuti si sciolsero e innescarono diverse esplosioni,
che distrussero parzialmente la struttura.
Sebbene nessuno sia morto a causa delle
radiazioni provenienti dalla centrale semidistrutta, quello di Fukushima resta
comunque uno dei più gravi incidenti nucleari della storia, le cui conseguenze indirette, in
termini di vite umane, sono ancora oggi difficili da quantificare. La
devastazione causata dallo tsunami e il pericolo delle radiazioni hanno
costretto alla fuga,
nell'immediatezza dell'evento, circa 470mila persone, di cui 170mila
provenienti dalla città di Fukushima; l'economia della
regione è ancora oggi irrimediabilmente compromessa dalla catastrofe, con risicatissimi
margini di miglioramento. "Nei
villaggi e nelle città della regione", ci racconta Marco Casolino, primo ricercatore dell'Infn e dell'Università di Tor
Vergata e collaboratore dell'esperimento Riken, che fa la spola tra l'Italia e il Giappone, "non
vive quasi più nessuno, nonostante i livelli di radioattività siano ormai
tornati sotto la soglia di sicurezza. Dopo dieci anni passati lontano, a
Fukushima non vuole tornare più nessuno, anche perché le possibilità di lavoro
sono pochissime: villaggi e città sono sostanzialmente popolati da poche
persone, la maggior parte delle quali molto anziane"**.
C’è da dire che è stato fatto molto
per mettere in
sicurezza la regione. Nonostante i periodici gridi
d’allarme di radiazioni
mortali sparse ormai per tutto il Giappone e addirittura
il Pacifico, la situazione è da tempo ormai sotto controllo, con
un fondo di radiazione molto più basso che nell’immediatezza dell’evento. Tanto
per dare qualche numero, la radioattività media, anche in zone abbastanza
vicine alla centrale, si attesta su 20 mSv/anno, sotto il livello di rischio. A
Roma è circa di 3 mSv/anno. I livelli di cesio-134, una delle principali firme dell’incidente,
si sono quasi
completamente azzerati, riducendo di almeno la metà la
contaminazione ambientale; in un’ampia regione attorno alla centrale sono stati
rimossi i primi centimetri di terreno, ora stoccati in grandi ziqqurat depositate
nelle valli e nelle coste della prefettura. Le piscine della centrale sono
state svuotate, e le barre di combustibile sono state rimosse; i reattori sono
stati messi in sicurezza con nuove coperture in cemento armato. Il nocciolo
viene costantemente raffreddato pompandovi acqua che successivamente viene
depurata dal cesio e stoccata in grandi silos nei dintorni della struttura.
Dal momento che le esplosioni non hanno
danneggiato tutti i reattori allo
stesso modo, per ciascuno di essi è stato necessario sviluppare una strategia unica e differenziata. Sopra
l’unità 1 è in costruzione una gigantesca copertura – che sarà terminata
nel 2023 –
in cui saranno sepolti polveri e detriti, mentre la rimozione del combustibile
è pianificata per il 2027.L’unità 2, invece, ospiterà una struttura che, a
partire dal 2024,
sarà usata per stoccare 615 fasci di barre di combustibile. Più avanti i lavori
nell’unità 3, che è sovrastata da una struttura in acciaio in cui questo mese
si dovrebbe completare la rimozione di altri 566 fasci di barre di
combustibile. E infine c’è l’unità 4, in cui non è presente alcun detrito e che
al momento ospita un’enorme
gru che nel 2014 ha lavorato alla rimozione di 1535 fasci
di barre di combustibile.
Ma non basta. “Siamo appena poco più in là della
linea di partenza”, ha spiegato Masao Uchibori,
governatore della prefettura di Fukushima,
parlando ai giornalisti durante una conferenza stampa. Perché manca ancora la
parte più lunga e
delicata dell’impresa, cioè quella di riuscire ad
avvicinarsi sempre di più al nocciolo e
decidere come intervenire per bonificarlo. “Dal punto di vista della copertura geografica”,
dice ancora Casolino, “è
stata ripulita quasi tutta la regione. Il punto è che intervenire sul nocciolo
è molto più difficile: i livelli di radioattività sono così alti che anche i
robot non possono lavorarci”. Secondo le stime della società che
possiede e gestisce la centrale, la Tepco,
saranno necessari almeno altri
trent’anni per recuperare il combustibile non danneggiato
e quello che si è sciolto e poi solidificato, per sbarazzarsi dell’acqua usata per
il raffreddamento e per disassemblare i reattori. Sono in particolare i primi
due punti a preoccupare di più, dal momento che ancora non si sa con certezza
dove siano tutti i detriti e
quindi non se ne può pianificare con precisione il recupero: nel 2022 gli
addetti alla bonifica proveranno a intervenire con un braccio meccanico
sull’unità 2 per recuperare piccole quantità di detriti che si pensa giacciano
sul suo pavimento.
Il problema dell’acqua di raffreddamento,
invece, sta nel fatto che, pur essendo depurata del cesio, resta
comunque radioattiva (contiene
un isotopo dell’idrogeno, il tritio, molto difficile da catturare): al momento
se ne sono accumulate circa 1,24 milioni di tonnellate, conservate in circa
mille silos che occupano quasi tutti gli spazi disponibili del campus di Fukushima Daiichi.
Fortunatamente, il tritio emette soltanto particelle beta a bassa energia, e
dunque non è particolarmente pericoloso per la salute: l’idea del ministero per
l’Economia, il commercio e l’industria giapponese era di disperdere l’acqua gradualmente nell’oceano
o nell’atmosfera, ma diverse nazioni vicine al Giappone, molti gruppi di
attivisti per l’ambiente e l’industria della pesca si sono detti
assolutamente contrari all’idea.
Finora, il governo non ha preso alcuna decisione ufficiale in merito. Quel che
è certo è che il costo dell’operazione sarà molto alto: il governo ha stimato
in 76 miliardi di
dollari le spese necessarie al decommissioning.
Probabilmente ne serviranno molti di più.
https://www.wired.it/scienza/ecologia/2021/03/11/fukushima-10-anni-dopo/
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