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venerdì 18 marzo 2022

Lo Sapevate Che: Le Cinque Giornate di Milano: Al grido di «Viva l'Italia, viva Pio IX; a morte i tiranni!» ebbe inizio l'evento più noto della storia risorgimentale, che aprì la strada all'impresa unitaria.

 

Già il 19 marzo i milanesi avevano allestito circa 1.700 barricate difese anche dalle finestre e dai tetti delle abitazioni, che a volte vennero private dei muri per creare vie di comunicazione più veloci.

All’inizio di gennaio 1848, per protesta contro il governo della città in mano agli austriaci e  colpire l’entrate erariali attraverso la tassa sul tabacco, i milanesi decisero uno “sciopero” del fumo.
Il comando austriaco inviò per le strade i soldati fumando in modo ostentato sigari e aggredendo i passanti, forzandoli a fumare. Si verificarono diversi scontri con 6 morti e oltre 80 feriti fra i cittadini.
La rivolta sembra che nacque da un gruppo di persone che frequentavano la Pasticceria Cova, i quali iniziarono ad insultare per poi finire all’assalire con le pietre i militari che andavano in giro a fumare i sigari, in particolare i granatieri italiani che ne fumavano allegramente due alla volta.
Venerdì 17 marzo si venne a conoscenza delle dimissioni di Metternich a seguito di un’insurrezione popolare a Vienna. Questo portò alla decisione di organizzare una grande manifestazione pacifica il 18 marzo davanti al palazzo del governatore (nell’attuale Piazza Mercanti) per richiedere più autonomia attraverso l’abolizione delle leggi più repressive, maggior libertà di stampa, scioglimento della polizia e altre richieste.
Ma la manifestazione  si trasformò in un assalto e il vice-governatore O’Donnell fu costretto a firmare una serie di concessioni e in tutta Milano cominciarono i combattimenti in strada.
Il feldmaresciallo Radetzky inviò truppe per sedare la rivolta, ma inizialmente colto di sorpresa e si rifugiaiò momentaneamente con i suoi 8.000 uomini nel Castello Sforzesco. Tentò poi di riprendere il palazzo del governatore con i capi della rivolta, senza riuscirvi.
Successivamente, con altre truppe di rinforzo, Radetzky circondò la città; avendo inoltre occupato quasi tutti gli edifici pubblici, caserme, uffici di polizia e del Duomo, dal cui tetto i Cacciatori austriaci (Jäger) sparavano a chi capita a tiro.
Il 19 marzo i milanesi avevano già eretto circa 1.700 barricate difese anche dalle finestre e dai tetti delle abitazioni, che a volte vennero private dei muri per creare vie di comunicazione più veloci.

A causa della mancanza di armi da fuoco disponibili, i milanesi si arrangiarono utilizzando fucili esposti nei musei o conservati in varie armerie. Le strade vennero dissestate e cosparse di ferri e vetri per ostacolare il più possibile la cavalleria austriaca.
Il 
20 marzo Radetzky diede ordine a tutte le truppe sparse per la città di rifugiarsi nel castello e di mantenere il controllo della cinta muraria.
Lo stesso giorno si fondò un consiglio di guerra che prese il comando delle operazioni e nella notte tra il 
21 e il 22 marzo, nacque il Governo provvisorio presieduto dal podestà Gabrio Casati (il segretario era Cesare Correnti).
Furono costruite mongolfiere per inviare messaggi oltre le mura; agli astronomi fu detto di sorvegliare il nemico da torri e campanili, gli impiegati del catasto e gli ingegneri vennero consultati per sapere come meglio muoversi in città, e gli orfani funsero da staffette portaordini (i famosi 
Martinitt, i piccoli Martini, dal nome del loro orfanotrofio).
Tra la fine del terzo giorno di lotta e l’inizio del quarto, la situazione era entrata in stallo: le truppe austriache salde sulle loro posizioni (ma senza edifici capaci di ospitare tutti i soldati e consci che la perdita di una sola porta avrebbe vanificato l’assedio) e i milanesi relativamente sicuri per le strade, ma a corto di rifornimenti.
Radetzky inviò quindi un’offerta di tregua che divise il Consiglio di guerra tra moderati e democratici.

Casati e i nobili chiedevano ad alta voce l’accettazione dell’armistizio e la chiamata in causa del re di Sardegna Carlo Alberto (con cui già aveva parlamentato il conte Enrico Martini il quale riferì al Consiglio, il 21 marzo, di averne ricevuto una risposta interlocutoria); il sovrano aveva già radunato l’esercito a Novara, pronto a muoversi non appena le personalità milanesi più influenti avessero firmato una petizione che reputava necessaria per giustificare, di fronte alle diplomazie internazionali, l’entrata delle truppe nel Lombardo-Veneto.
A detta dei moderati, l’intervento delle truppe sabaude era necessario per sconfiggere l’esercito austriaco in una vera e propria campagna militare (secondo loro impraticabile dagli inesperti rivoltosi) e per prevenire eventuali degenerazioni rivoluzionarie; alcuni proposero anche che, se il futuro regno fosse stato lombardo-piemontese, il suo baricentro sarebbe stato Milano, a scapito di Torino.
Diversa era invece la posizione dei democratici, con in testa Cattaneo: contrari ad ogni petizione e ad ogni armistizio, erano convinti che la rivoluzione avrebbe trionfato anche senza ricevere aiuti; un’alleanza con il Re di Sardegna sarebbe stata possibile solo se in posizione di parità.
Alla fine prevalse il punto di vista dei democratici.

L’armistizio fu rifiutato e si tornò a combattere. Il 21 marzo il calzolaio Pasquale Sottocorno riuscì ad incendiare la porta del palazzo del Genio in via Monte di Pietà, permettendo ai milanesi guidati da Luciano Manara, Enrico Dandolo ed Emilio Morosini di impossessarsi della struttura. Durante l’attacco restò ucciso Augusto Anfossi, uno dei capi militari della rivolta.

La mattina del 22 marzo le strade cittadine erano sotto il controllo degli insorti, mentre gli Austriaci controllavano le mura spagnole ed il Castello Sforzesco chiudendo la città in una cerchia.
Ma nella campagna circostante le strade erano bloccate dalla popolazione in rivolta impedendo agli Austriaci di ricevere rifornimenti e rinforzi; Radetzki fu così costretto a prepararsi a lasciare città.
Gli scontri proseguirono quindi con i milanesi che attaccarono per forzare il blocco e unirsi con gli insorti della campagna; le armi ai rivoltosi ormai non mancavano, grazie a quelle catturate in combattimento e a quelle rinvenute nelle caserme austriache abbandonate.

 

Un primo attacco fu tentato la mattina contro Porta Comasina, quindi Porta Ticinese, entrambi respinti; ebbe infine successo un terzo assalto a Porta Tosa (in seguito per questo motivo chiamata Porta Vittoria) guidato da Manara. La porta fu conquistata a notte fonda sotto la luce degli incendi che divampavano nelle case adiacenti, la bandiera tricolore fu issata sulle rovine della porta da Francesco Pirovano, un garzone di panetteria di diciassette anni. La conquista di Porta Tosa segnò la vittoria della rivolta.
Dopo aver ripreso momentaneamente Porta Tosa, gli austriaci di Radetzky si ritirarono nella notte tra il 
22 e il 23 marzo 1848 portandosi dietro 19 ostaggi.
Il democratico Carlo Cattaneo dovette però cedere al consiglio di guerra e fu inviato a Torino un messaggero per chieder a Carlo Alberto di intervenire.
La sera del 22 i milanesi abbatterono il portone della Scuola militare Teuliè e fecero prigioniero il presidio. I cadetti di origine milanese furono riportati presso le famiglie, mentre la scuola fu chiusa e trasformata in “Scuola di Artiglieria e Genio” sotto la direzione del maggiore Antonio Carnevali.
Terminata la rivolta, i corpi dei caduti furono seppelliti inizialmente nella Cripta della Chiesa della Beata Vergine Annunciata, poi nel 1895 vennero trasferiti in un ossario realizzato sotto il Monumento alle Cinque Giornate.
Il 
23 marzo, il giorno successivo alla fine dei combattimenti a Milano, le truppe piemontesi passarono il Ticino dirigendosi verso Milano, dando così inizio alla prima guerra d’indipendenza.

L’esercito piemontese si mosse con estrema lentezza, dando modo agli austriaci di ritirarsi senza rilevanti perdite nel Quadrilatero, sconfitte solo in due piccole battaglie al ponte di Goito (9 aprile) e Pastrengo (30 aprile). Circa un mese dopo, i sardo-piemontesi si impadronirono della fortezza di Peschiera del Garda, per cercare di liberare la quale Radetzky sconfisse i volontari toscani a Curtatone e Montanara, venendo però egli stesso fermato di nuovo a Goito.

L’incapacità di assumere l’iniziativa da parte piemontese diede in ogni caso modo agli austriaci di ricevere rinforzi che gli permisero di riconquistare Vicenza, il 10 giugno e di riprendere l’offensiva, battendo l’esercito sardo-piemontese in una serie di scontri passati alla storia come prima battaglia di Custoza (22-26 luglio).

Il 10 giugno Carlo Alberto ricevette una delegazione guidata dal podestà di Milano Casati, che recava l’esito trionfale del plebiscito che sanciva l’unione della Lombardia al Regno di Sardegna. La situazione dell’esercito sardo-piemontese era però compromessa e il Re ordinò una ritirata verso l’Adda e Milano, dove i piemontesi vennero accolti da una città fredda e deserta, delusa di aver offerto una vittoria per trovarsi senza colpe in una sconfitta.
Il Re, sebbene avesse inizialmente respinto ogni proposta di abbandonare la città, il 4 agosto decise di porre fine alla guerra, scatenando l’ira dei milanesi che si ammassarono attorno alla sua residenza. Questo il resoconto della nobildonna Cristina di Belgioioso, che partecipò attivamente ai moti di Milano (e in seguito prese parte alla difesa della Repubblica romana dai Francesi):

«…Una deputazione della guardia nazionale salì ad interrogare Carlo Alberto sul motivo della capitolazione. Egli negò, ma fu costretto a seguire, suo malgrado, quei deputati al balcone da dove arringò al popolo, scusandosi della sua ignoranza dei veri sentimenti dei Milanesi; e compiacendosi di vederli così pronti alla difesa, promise solennemente di battersi alla loro testa sino all’ultimo sangue. Qualche colpo di fucile partì contro Carlo Alberto.
Alle ultime parole del suo discorso, il popolo sdegnato gridò: ‘Se è così lacerate la capitolazione’. Il re allora levò di tasca un pezzo di carta, lo tenne in alto affinché il popolo lo vedesse, e poi lo fece a pezzi.
»

Quella sera i bersaglieri sgomberarono la folla e scortarono Carlo Alberto fuori città.
Il 5 agosto fu firmata la capitolazione e gli austriaci ripresero il controllo di Milano, ma nel frattempo la maggior parte dei rivoltosi era riuscita a fuggire.
(
liberamente tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Cinque_giornate_di_Milano)

 

https://storiadimilano.altervista.org/le-cinque-giornate-di-milano/

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