Già il 19 marzo i milanesi
avevano allestito circa 1.700 barricate difese anche dalle finestre e dai tetti
delle abitazioni, che a volte vennero private dei muri per creare vie di
comunicazione più veloci.
All’inizio di gennaio
1848, per protesta contro il governo della città in mano agli austriaci e
colpire l’entrate erariali attraverso la tassa sul tabacco, i milanesi decisero
uno “sciopero” del fumo.
Il comando austriaco inviò per le strade i
soldati fumando in modo ostentato sigari e aggredendo i passanti, forzandoli a
fumare. Si verificarono diversi scontri con 6 morti e oltre 80 feriti fra i
cittadini.
La rivolta sembra che nacque da un gruppo di
persone che frequentavano la Pasticceria Cova, i quali iniziarono ad insultare
per poi finire all’assalire con le pietre i militari che andavano in giro a
fumare i sigari, in particolare i granatieri italiani che ne fumavano allegramente
due alla volta.
Venerdì 17
marzo si venne a
conoscenza delle dimissioni di Metternich a seguito di un’insurrezione popolare
a Vienna. Questo portò alla decisione di organizzare una grande manifestazione
pacifica il 18
marzo davanti al palazzo del governatore (nell’attuale
Piazza Mercanti) per richiedere più autonomia attraverso l’abolizione delle
leggi più repressive, maggior libertà di stampa, scioglimento della polizia e
altre richieste.
Ma la manifestazione si trasformò in un
assalto e il vice-governatore O’Donnell fu costretto a firmare una serie di
concessioni e in tutta Milano cominciarono i combattimenti in strada.
Il feldmaresciallo Radetzky inviò truppe per
sedare la rivolta, ma inizialmente colto di sorpresa e si rifugiaiò
momentaneamente con i suoi 8.000 uomini nel Castello Sforzesco. Tentò poi di
riprendere il palazzo del governatore con i capi della rivolta, senza
riuscirvi.
Successivamente, con altre truppe di rinforzo,
Radetzky circondò la città; avendo inoltre occupato quasi tutti gli edifici
pubblici, caserme, uffici di polizia e del Duomo, dal cui tetto i Cacciatori
austriaci (Jäger) sparavano a
chi capita a tiro.
Il 19
marzo i milanesi avevano già eretto circa 1.700 barricate
difese anche dalle finestre e dai tetti delle abitazioni, che a volte vennero
private dei muri per creare vie di comunicazione più veloci.
A causa della mancanza di armi da fuoco disponibili, i milanesi si
arrangiarono utilizzando fucili esposti nei musei o conservati in varie
armerie. Le strade vennero dissestate e cosparse di ferri e vetri per
ostacolare il più possibile la cavalleria austriaca.
Il 20 marzo Radetzky diede ordine a tutte le
truppe sparse per la città di rifugiarsi nel castello e di mantenere il
controllo della cinta muraria.
Lo stesso giorno si fondò un consiglio di guerra che prese il comando delle
operazioni e nella notte tra il 21 e il
22 marzo, nacque il Governo provvisorio presieduto dal podestà Gabrio Casati (il
segretario era Cesare Correnti).
Furono costruite mongolfiere per inviare messaggi oltre le mura; agli astronomi
fu detto di sorvegliare il nemico da torri e campanili, gli impiegati del
catasto e gli ingegneri vennero consultati per sapere come meglio muoversi in
città, e gli orfani funsero da staffette portaordini (i famosi Martinitt, i piccoli Martini,
dal nome del loro orfanotrofio).
Tra la fine del terzo giorno di lotta e l’inizio del quarto, la situazione era
entrata in stallo: le truppe austriache salde sulle loro posizioni (ma senza
edifici capaci di ospitare tutti i soldati e consci che la perdita di una sola
porta avrebbe vanificato l’assedio) e i milanesi relativamente sicuri per le
strade, ma a corto di rifornimenti.
Radetzky inviò quindi un’offerta di tregua che divise il Consiglio di guerra
tra moderati e democratici.
Casati e i nobili chiedevano ad alta voce l’accettazione dell’armistizio e
la chiamata in causa del re di Sardegna Carlo Alberto (con cui già aveva
parlamentato il conte Enrico Martini il quale riferì al Consiglio, il 21 marzo,
di averne ricevuto una risposta interlocutoria); il sovrano aveva già radunato
l’esercito a Novara, pronto a muoversi non appena le personalità milanesi più
influenti avessero firmato una petizione che reputava necessaria per
giustificare, di fronte alle diplomazie internazionali, l’entrata delle truppe
nel Lombardo-Veneto.
A detta dei moderati, l’intervento delle truppe sabaude era necessario per
sconfiggere l’esercito austriaco in una vera e propria campagna militare
(secondo loro impraticabile dagli inesperti rivoltosi) e per prevenire
eventuali degenerazioni rivoluzionarie; alcuni proposero anche che, se il
futuro regno fosse stato lombardo-piemontese, il suo baricentro sarebbe stato
Milano, a scapito di Torino.
Diversa era invece la posizione dei democratici, con in testa Cattaneo:
contrari ad ogni petizione e ad ogni armistizio, erano convinti che la
rivoluzione avrebbe trionfato anche senza ricevere aiuti; un’alleanza con il Re
di Sardegna sarebbe stata possibile solo se in posizione di parità.
Alla fine prevalse il punto di vista dei democratici.
L’armistizio fu rifiutato e si tornò a combattere. Il 21
marzo il calzolaio Pasquale Sottocorno riuscì ad incendiare la porta del
palazzo del Genio in via Monte di Pietà, permettendo ai milanesi guidati da
Luciano Manara, Enrico Dandolo ed Emilio Morosini di impossessarsi della
struttura. Durante l’attacco restò ucciso Augusto Anfossi, uno dei capi
militari della rivolta.
La mattina del 22 marzo le strade cittadine erano sotto il
controllo degli insorti, mentre gli Austriaci controllavano le mura spagnole ed
il Castello Sforzesco chiudendo la città in una cerchia.
Ma nella campagna circostante le strade erano bloccate dalla popolazione in
rivolta impedendo agli Austriaci di ricevere rifornimenti e rinforzi; Radetzki
fu così costretto a prepararsi a lasciare città.
Gli scontri proseguirono quindi con i milanesi che attaccarono per forzare il
blocco e unirsi con gli insorti della campagna; le armi ai rivoltosi ormai non
mancavano, grazie a quelle catturate in combattimento e a quelle rinvenute
nelle caserme austriache abbandonate.
Un primo
attacco fu tentato la mattina contro Porta Comasina, quindi Porta Ticinese,
entrambi respinti; ebbe infine successo un terzo assalto a Porta Tosa (in
seguito per questo motivo chiamata Porta Vittoria) guidato da Manara. La porta
fu conquistata a notte fonda sotto la luce degli incendi che divampavano nelle
case adiacenti, la bandiera tricolore fu issata sulle rovine della porta da
Francesco Pirovano, un garzone di panetteria di diciassette anni. La conquista
di Porta Tosa segnò la vittoria della rivolta.
Dopo aver ripreso momentaneamente Porta Tosa, gli austriaci di Radetzky si
ritirarono nella notte tra il 22
e il 23 marzo 1848 portandosi dietro 19 ostaggi.
Il democratico Carlo Cattaneo dovette però cedere al consiglio di guerra e fu
inviato a Torino un messaggero per chieder a Carlo Alberto di intervenire.
La sera del 22 i milanesi abbatterono il portone della Scuola militare Teuliè e
fecero prigioniero il presidio. I cadetti di origine milanese furono riportati
presso le famiglie, mentre la scuola fu chiusa e trasformata in “Scuola di
Artiglieria e Genio” sotto la direzione del maggiore Antonio Carnevali.
Terminata la rivolta, i corpi dei caduti furono seppelliti inizialmente nella
Cripta della Chiesa della Beata Vergine Annunciata, poi nel 1895 vennero
trasferiti in un ossario realizzato sotto il Monumento alle Cinque Giornate.
Il 23 marzo, il
giorno successivo alla fine dei combattimenti a Milano, le truppe piemontesi
passarono il Ticino dirigendosi verso Milano, dando così inizio alla prima
guerra d’indipendenza.
L’esercito piemontese si mosse
con estrema lentezza, dando modo agli austriaci di ritirarsi senza rilevanti
perdite nel Quadrilatero, sconfitte solo in due piccole battaglie al ponte di
Goito (9 aprile) e Pastrengo (30 aprile). Circa un mese dopo, i
sardo-piemontesi si impadronirono della fortezza di Peschiera del Garda, per
cercare di liberare la quale Radetzky sconfisse i volontari toscani a Curtatone
e Montanara, venendo però egli stesso fermato di nuovo a Goito.
L’incapacità di assumere
l’iniziativa da parte piemontese diede in ogni caso modo agli austriaci di
ricevere rinforzi che gli permisero di riconquistare Vicenza, il 10 giugno e di
riprendere l’offensiva, battendo l’esercito sardo-piemontese in una serie di
scontri passati alla storia come prima battaglia di Custoza (22-26 luglio).
Il 10 giugno Carlo Alberto
ricevette una delegazione guidata dal podestà di Milano Casati, che recava
l’esito trionfale del plebiscito che sanciva l’unione della Lombardia al Regno
di Sardegna. La situazione dell’esercito sardo-piemontese era però compromessa
e il Re ordinò una ritirata verso l’Adda e Milano, dove i piemontesi vennero
accolti da una città fredda e deserta, delusa di aver offerto una vittoria per
trovarsi senza colpe in una sconfitta.
Il Re, sebbene avesse inizialmente respinto ogni proposta di abbandonare la
città, il 4 agosto decise di porre fine alla guerra, scatenando l’ira dei
milanesi che si ammassarono attorno alla sua residenza. Questo il resoconto
della nobildonna Cristina di Belgioioso, che partecipò attivamente ai moti di
Milano (e in seguito prese parte alla difesa della Repubblica romana dai
Francesi):
«…Una deputazione della guardia nazionale salì ad interrogare Carlo
Alberto sul motivo della capitolazione. Egli negò, ma fu costretto a seguire,
suo malgrado, quei deputati al balcone da dove arringò al popolo, scusandosi
della sua ignoranza dei veri sentimenti dei Milanesi; e compiacendosi di
vederli così pronti alla difesa, promise solennemente di battersi alla loro
testa sino all’ultimo sangue. Qualche colpo di fucile partì contro Carlo
Alberto.
Alle
ultime parole del suo discorso, il popolo sdegnato gridò: ‘Se è così lacerate
la capitolazione’. Il re allora levò di tasca un pezzo di carta, lo tenne in
alto affinché il popolo lo vedesse, e poi lo fece a pezzi.»
Quella
sera i bersaglieri sgomberarono la folla e scortarono Carlo Alberto fuori
città.
Il 5 agosto fu firmata la capitolazione e gli austriaci ripresero il controllo
di Milano, ma nel frattempo la maggior parte dei rivoltosi era riuscita a
fuggire.
(liberamente tratto da
https://it.wikipedia.org/wiki/Cinque_giornate_di_Milano)
https://storiadimilano.altervista.org/le-cinque-giornate-di-milano/
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