La biografia di César Vallejo: i primi anni
Quanto possiamo prescindere dalla vita di un autore per apprezzarne o
analizzarne l’opera? In termini precisi non lo sappiamo, ed è pur vero che la
domanda risulta piuttosto tediosa. Sappiamo però che ci sono alcuni autori che,
più di altri, si prestano a esser letti nella loro produzione letteraria
attraverso la biografia. Tra questi, c’è senza dubbio il peruviano Vallejo, le
cui “vicende terrene” entrano in maniera privilegiata nella sua opera.
La biografia di César Vallejo, infatti, al pari di
quella di altri autori come per esempio Horacio
Quiroga (1878-1937) - per restare in ambito ispanoamericano e non citare che
il primo che ci viene in mente - segna in maniera determinante la sua opera,
entrandovi fin dalla prima produzione poetica. E vi entra, in particolare,
innanzitutto come contesto, orizzonte e paesaggio, poi come tensione politica.
Poeta d’altura, Vallejo nasce il 16 marzo del 1892, ultimo di undici
fratelli, in una famiglia dalla discendenza in parte indigena. Nasce meticcio, insomma, e nelle
intenzioni della famiglia viene inizialmente indirizzato verso il sacerdozio:
progetto poi sfumato.
Siamo a Santiago de Chuco, un paese appoggiato
su una piccola conca a quasi 800 chilometri a nord di Lima e a oltre tremila
metri di altitudine, attorno al quale ci sono soltanto montagne. Saranno
proprio queste, con il loro formidabile profilo, a sovrastare tutto il resto
nell’opera di Vallejo, e lo saranno nonostante il futuro viaggio del poeta
attraverso l’Atlantico. Vallejo conserverà infatti un’anima compositiva la cui
predisposizione evidentemente indigenista sarà in grado di porsi a metà strada
tra l’ultimo modernismo ispanoamericano e la nuova avanguardia. In sostanza, la
funzione pervasiva che in Roberto Arlt (1900-1942) era svolta dalla città, in
Vallejo viene svolta dagli ambienti rurali della sierra andina.
Vallejo porterà infatti con sé il suo paesaggio rurale anche quando si
trasferirà nelle città di Trujillo e Lima, per studio e lavoro, tra il 1910 e
il 1917. Nel frattempo, un impiego come precettore dei figli di un ricco
possidente terriero nella valle Chicama lo metterà davanti allo scandalo dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In parte quest’esperienza confluirà anche nel
suo primo libro Los heraldos negros, raccolta di poesie
che sulle prime venne criticata per una stretta aderenza ad alcuni modelli
classici quali Rubén Darío (1867-1916) e Julio Herrera y Reissig (1875-1910).
La biografia di César Vallejo: dalla maturità alla
morte
Sia a Trujillo che a Lima Vallejo frequenta i circoli intellettuali
dell’epoca, venendo a contatto e stringendo amicizia con alcuni dei più
influenti peruviani delle lettere e del pensiero suoi coevi. Tra questi,
Vallejo conoscerà anche José
Carlos Mariátegui (1890-1934), tra i principali interpreti e studiosi del marxismo in
tutta l’America latina.
Nel tra il 1920 e il 1921 accade un evento determinante nella vita dello
scrittore: accusato ingiustamente di furto e incendio durante una rivolta
popolare, Vallejo viene incarcerato per tre mesi (dal 6 novembre del 1920 al 26
febbraio del 1921). Proprio durante la reclusione, scrive la maggior parte
delle poesie raccolte in Trilce, forse la sua più
memorabile raccolta poetica. Raccolta grazie alla quale la produzione di
Vallejo segna definitivamente il passaggio dal modernismo all’avanguardismo:
versi liberi e talvolta prosa poetica, formidabili metafore, onomatopee,
neologismi, estremi giochi sintattici e licenze grammaticali sono alcune
caratteristiche del libro, ma resta, comunque, l’eco rurale della sua terra, il
sapore campestre del passato. Uscito di carcere in libertà provvisoria, il
poeta non vedrà mai concludersi il processo che l’aveva voluto in carcere, e
vivrà in costante clandestinità.
Nel 1923 Vallejo viaggia allora in Europa, toccando la Francia, la Spagna e
la Russia. In questo lungo viaggio che diverrà la sua vita, e che non lo vedrà
più tornare in patria a causa del processo mai conclusosi, Vallejo conoscerà
personalità come Juan Gris (1887-1927), Vicente
Huidobro (1893-1948) e Vladímir
Majakóvskij (1893-1930), entrando dunque in contatto con i circoli intellettuali
del vecchio mondo.
Divenuto membro del Partito Comunista Spagnolo, Vallejo si impegnerà in
Spagna nella lotta per la causa repubblicana. La sua morte risale al 15
aprile del 1938. Era un venerdì santo.
Poesia andina e prosa di denuncia in César Vallejo
La vita e l’opera di Vallejo: un legame indissolubile nel segno
dell’indigenismo, della memoria rurale forse intesa come resistenza, in un
quadro che visto a posteriori sembra assumere una coerenza
politico-antropologica fin dall’inizio. Come sottolinea René de Costa: “Vallejo
vive e convive con i miti della sua terra. Per questo riesce via via a
incorporarli nella sua poesia con assoluta naturalezza. Il suo indigenismo
viene dal profondo - dal suo stesso sangue - ed è il vero nucleo del suo modo
originale di osservare ed esprimersi. Questa sopravvivenza del passato nel
presente, avvertibile a fior di pelle a ogni istante nei villaggi del Perù,
come a Roma o ad Alessandria, acquisisce un’evidenza reale, palpabile, nella
poesia di Vallejo” (Prima avanguardia e rifondazione della
poesia, in Dario Puccini e Saúl Yurkievich, a cura di, Storia
della civiltà letteraria ispanoamericana, Utet, Torino, p. 303).
E se finora abbiamo parlato della poesia di Vallejo, lo stesso può dirsi
della prosa. Per concludere, allora, una rapida menzione va fatta senza dubbio
alla sua attività di prosatore. Si prendano le due opere Tugnsteno, romanzo pubblicato
per la prima volta nel 1931 (trad. it. di Francesco Verde, Sur, Roma 2015),
e Favola selvaggia, racconto lungo del
1923 (trad. it. di Raul Schenardi, Arcoiris, Salerno 2014). Capaci di
sintetizzare al meglio quanto abbiamo detto sopra circa le influenze che i
fatti della biografia hanno avuto sull’opera dello scrittore, queste due
narrazioni rappresentano anche due esempi straordinari di come la prosa possa
beneficiare di intarsi lirici.
Tungsteno è l’unico
romanzo vero e proprio scritto da Vallejo: racconta del disastro causato
dall’intrapresa coloniale nordamericana in terra peruviana tramite le vicende
che vedono la Mining Society, impresa di estrazione di minerali, sfruttare fino
alla morte gli indigeni del luogo. Favola
selvaggia, di tutt’altro tono, vede allo stesso modo un’ambientazione andina. Si
tratta tuttavia di una storia di amore e follia (à la Quiroga) in cui
l’asprezza del paesaggio scandisce il ritmo di un’ossessione amorosa: una
storia narrata da Vallejo con “un linguaggio che, nel recuperare l’innocenza
della realtà primitiva e agreste dell’infanzia, gli permette di riappropriarsi
della natura incontaminata, una natura destinata, tuttavia, a scomparire
irrimediabilmente” (Silvana Serafin, César
Vallejo, cantore della negazione, postfazione a Favola
Selvaggia, cit., p. 66).
In entrambi questi casi, come nella sua produzione squisitamente poetica,
Vallejo trasferisce il suo vissuto, le sue angosce, le sue ossessioni: lo
stesso vissuto e le stesse angosce e ossessioni che, su un piano
intersoggettivo di condivisione, diventano afflato sociale, comune grido
politico.
https://www.edizioniarcoiris.it/blog/cesar-vellejo-biografia-e-opera-n15
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