Eduardo Scarpetta, noto drammaturgo della Commedia Napoletana di fine Ottocento, nacque a Napoli il 13 marzo del 1853; era terzogenito di Domenico Scarpetta “ufficiale di prima classe agli affari ecclesiastici al ministero” e di Emilia Rendina. (Giampaolo Infusino, in Eduardo De Filippo, Un secolo di teatro, Lito-Rama, Napoli, 2000). La sua era una famiglia di media borghesia costituita anche dal fratello Enrico e dalle due sorelle Giulia e Ermenegilda, detta Gilda, la quale condividendo con Eduardo la passione per il teatro, una volta adulta farà parte della compagnia di Scarpetta. Eduardo nacque nella splendida casa di via Santa Brigida, ma presto il benessere e gli agi familiari finiranno in seguito alla grave malattia di Don Domenico; ecco che la famiglia Scarpetta caduta in rovina, sarà costretta a girovagare per varie abitazioni prima di potersi stabilire definitivamente nella dimora al vico Nocelle 62. Eduardo esordì in teatro all’età di 14 anni, quando ottenne il suo primo contratto dall’impresario Salvatore Mormone. Da piccolo si divertiva a giocare assieme alla sorella Gilda con il teatrino dei pupi, era lui stesso che allestiva e organizzava le piccole messinscene dei burattini, poi una volta divenuto ragazzino, si rese conto che nel suo animo era maggiormente cresciuta questa sua passione per la recitazione, e fu così che intraprese prima i ruoli da “comparsa” e poi quelli da “generico”, per debuttare finalmente nel 1868 al Teatro San Carlino, nel terzo atto della commedia Cuntiente e guaje. Notato dal grande Antonio Petito, per la sua vitalità, bravura, talento e ambizione, Scarpetta venne scritturato nel 1872 nella compagnia petitiana, e fu allora che il giovane attore indossò i panni del personaggio popolare Don Felice Sciosciammocca. Alla morte del suo Maestro Petito, Eduardo con i suoi guadagni riuscì a mettere su una propria compagnia, la “Comica Compagnia Napoletana” e nel 1880, divenuto il nuovo direttore del teatro San Carlino lo fece ristrutturare debuttandovi con la commedia Lo scarfalietto, e con un repertorio del tutto nuovo. Non più drammi legati ad una comicità tradizionale e popolare, ma drammi “comici di stile borghese”. Scarpetta amò guardare oltre la cultura partenopea, e rimasto affascinato dalla pochade francese, iniziò a scrivere commedie brillanti, basandosi sugli intrecci dei vaudevilles ed esaltandone lo spirito e il gusto partenopeo. Il suo “teatro imborghesito” era rivolto ad un nuovo pubblico, difatti il teatro scarpettiano intense rispecchiare la nuova borghesia in ascesa di fine Ottocento, e con la mezza maschera di Felice Sciosciammocca l’attore decise di realizzare per l’appunto una rappresentazione borghese molto “realistica, con storie e personaggi moderni con cui il pubblico potesse identificarsi” (Giampaolo Infusino). Scarpetta non solo modificò il San Carlino e il suo repertorio, ma la stessa scrittura del copione. L’attore aveva appreso dal Maestro Petito l’importanza del testo scritto, ma rispetto a Petito elaborò un proprio metodo di scrittura. Per il nostro comico bisognava scrivere una commedia più sintetica e non prolissa, cioè Scarpetta a differenza di Petito preferì formulare dei tagli sui dialoghi iniziali delle prime due scene – tradizionalmente tali dialoghi erano molto lunghi - e decise di eliminare anche i riassunti recitati all’inizio della terza scena dal primo attore, e nel riformare il suo teatro vietò ai suoi attori di truccarsi esageratamente il volto (come invece richiedeva la tradizione scenica), ed eliminò persino “il tradizionale invito all’applauso fatto dagli attori che sanciva la fine della commedia” (Giampaolo Infusino). Inoltre il copione, come ebbe a dire Scarpetta, permetteva all’attore di non restare soltanto un semplice “ricordo d’una risata o d’uno scoppio di lacrime. Un ricordo [ ] che muore [ ] che invecchia e si scolorisce come le scene del palcoscenico, dove noi ci succediamo brillando per un momento come fatui splendori”. (E. Scarpetta in Dal San Carlino ai Fiorentini, Napoli 1900). Grazie al testo scritto l’attore divenendo autore delle sue opere, sarà letto e studiato dai posteri, e le stesse opere scritte dal drammaturgo otterranno con la scrittura e con la pubblicazione una piena autonomia rispetto allo stesso scrittore, esse vivranno nel tempo, sebbene subiranno delle revisioni, dei rifacimenti da successivi autori/attori che le rappresenteranno. Le messinscene scarpettiane ebbero ovunque ovazioni, facevano ridere e divertire di gusto, le platee erano sempre affollate e piene; grazie ai suoi strepitosi successi, il comico divenne presto un uomo molto ricco. Con il denaro guadagnato, l’attore napoletano si fece costruire un suntuoso palazzo, detto palazzo Scarpetta, nell’aristocratico rione Amedeo, e una villa al Vomero, chiamata Santarella. Scarpetta aveva un carattere duro e una personalità forte; egli sarà ricordato dai figli e dai compagni di lavoro come un uomo severo, rigido e austero. Eduardo si ritirò dalla scena nel 1909, a causa della sua sofferenza fisica, dovuta dall’asma. Morì nel 1925 e tra le sue tante opere ricordiamo: Na Santarella, Nu turco napolitano, ‘O miedeco d’è pazze, Tre pecore viziose, Li nepute de lu sinneco, Miseria e nobiltà, ecc..
http://www.zam.it/biografia_Eduardo_Scarpetta
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