Poche Settimane fa l’editore “Le Lettere” di Firenze
ha pubblicato il libro intitolato “L’altra Marilyn” con un sottotitolo
“Psichiatria e psicoanalisi di un cold case”. Gli autori sono due: la
psichiatra Liliana Dell’Osso e lo psichiatra e psicoterapeuta Riccardo Dalle
Luche, entrambi formatisi a Pisa. Questo libro è di notevole importanza, sia
perché tratteggia la storia di una delle
più celebri e ricordate dive di Hollywood e fu la prima in una
situazione che poi si verificò per molti altri casi analoghi, e sia perché fa
luce sui rapporti morbosi e psicopatologi in una serie di donne. Una
psicopatologia che ha reso evidente una sindrome di fondo tra maschi e femmine
anche se la loro sessualità non è psicologicamente disturbata; tuttavia è alla
base d’un mondo per molti aspetti dominato da un maschilismo di fondo ed è
questo il motivo che ha stimolato il mio interesse e spero anche quello dei
nostri lettori. Anzitutto la storia di Marilyn. Nasce orfana di padre, che
abbandonò la moglie dopo i primi amplessi che la misero incinta, e di quella
madre che non potendo e non volendo allevarla la affidò ad un orfanotrofio dopo
averle dato il nome di Norma Jean, trovato insieme alle persone
dell’orfanotrofio che di lei si sarebbero occupate. Norma tentò più volte di
fuggire, passarono alcuni anni e alla fine decise in piena libertà di andarsene
ma priva di qualsiasi sostentamento. Face alcuni mestieri servili ed ebbe
incontri sessuali fuggevoli che peraltro le davano pochissimo soddisfa mento.
La Dell’Osso comincia con una diagnosi che esprime così: “schizofrenica
paranoide marginale”. Dalle Luche aggiunge a quella diagnosi la parola
“dipendente” che così definisce: “Marilyn dipendeva dall’alcol, dai sedativi,
dai suoi amanti o mariti del momento, dalle gratificazioni, dal successo e
soprattutto dalla fama”. La Verità Psicologica che emerge dal libro riguarda alcune
caratteristiche che rivelano aspetti finora ignorati. Per esempio che la sua
femminilità era molto scarsa. Era diventata la dea della femminilità, dopo Jean
Harlow era lei la nuova “bomba del sesso” e così la vedevano gli uomini che
l’hanno frequentata e vagheggiata; invece quel requisito non l’aveva affatto, o
meglio era lei che non lo sentiva. Aveva tutti gli uomini che voleva, ma li
voleva socialmente importanti. Tra di essi lo scrittore Arthur Miller, gli
attori e cantanti Frank Sinatra e Yves Montald, John e Bob Kennedy, ma la sua
apparente femminilità era talmente debole che lei temeva d’essere
tendenzialmente lesbica. Era molto ambiziosa ed anche perfezionista, Il suo
analista, conoscendo a fondo la sua vita fisica e psicologica, era piuttosto
impietosito nel descriverla. Secondo la sua testimonianza, “voleva essere una
vera attrice ma non lo era; voleva essere smisuratamente amata, adorata da
uomini importanti che di fatto si aspettavano da lei solo il ruolo di bionda
svampita”. Ebbene Marilyn fu il prototipo di quel tipo di
donna. A me non pare che recitasse male. Vidi a suo tempo quasi tutti i suoi
film, alcuni dei quali degni d’una grande attrice, Ne cita tra i molti “Gli
uomini preferiscono le bionde” e A qualcuno piace caldo”, a mio avviso tra i
migliori del cinema hollywoodiano. Lei per, nonostante i suoi successi
cinematografici ed anche amorosi, fu anche molto infelice. Non aveva voluto
avere figli proprio perché avrebbero inevitabilmente limitato gli altri aspetti
della sua vita, ma quella mancanza spiega anche la continua presenza in lei
della malinconia. Era molto malinconica Marilyn e lo si vide soprattutto negli
ultimi mesi della sua vita, quasi che l’ala della morte fosse sempre più
presente. Nella sua storia uno dei momenti centrali avviene quando alla
riunione che festeggiava il compleanno di John Kennedy lei arrivò non invitata,
si presentò al microfono e intonò la canzone di rito “Happy Birthday, Mr:
President”: Era il 19 maggio del 1962. Morì il 5 agosto di quello stesso anno.
Eugenio Scalfari - Il
vetro soffiato www.lespresso.it - L’Espresso 7 aprile 2016
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