Il libro della giungla, Peter Pan,
Alice nel paese delle meraviglie. Questi grandi classici per ragazzi sono stati letti, di
recente, da occhi umani: quelli dell’intelligenza artificiale di Facebook. Lo
scopo? Allenare la mente digitale a comprendere i testi scritti, al punto da
farle indovinare parole appositamente rimosse dai ricercatori e rispondere a
semplici domande sulle relazioni tra personaggi e oggetti nominati nelle
storie. In questo modo, in una seconda fase, si insegna al software di Facebook
a prendere decisioni basandosi sul contesto linguistico. Lo scopo è permettere
lo sviluppo di un assistente virtuale in grado di interagire con gli utenti.
Yann LeCun, il direttore della ricerca di Facebook, non è l’unico esperto
convinto della bontà di questo nuovo modo di educare le intelligenze
artificiali: al Georgia Tech Institute di Atlanta stanno facendo qualcosa di
simile e ancora più ambizioso: usano le fiabe per trasmettere ai robot valori
umani.”E’ un obiettivo importante per evitare che i robot diventino un rischio
per noi, l’hanno sottolineato anche scienziati come Stephen Hawking spiega al
Venerdì Mark Riedl, direttore dello Entertainment Intelligence Lab del Georgia
Tech. “Nel futuro le intelligenze artificiali interagiranno con noi ogni
giorno. Lo vediamo già oggi con Siri di Apple e Cortana di Microsoft. Più
avanti avremo robot badanti, fattorini, personal shopper. Più avremo robot e
più cose faremo fare loro, maggiore sarà il rischio che sorgano problemi. E le
fiabe sono perfette per “educare”, perché hanno una struttura elementare e
univoca, e contenuti non troppo ambigui”. Se, grazie alle fiabe, si riesce a
far sì che i robot comprendano il linguaggio naturale, sarà anche molto più
facile usarli: “Cercando il modo più intuitivo per istruire i robot, abbiamo
chiesto a un campione di persone di creare piccole storie, partendo da uno
spunto iniziale, tipo “cosa faccio quando ho la febbre?”. Abbiamo visto che le
storie create dai nostri soggetti contenevano valori umani impliciti: per
esempio, in farmacia, aspettare in coda il turno, pagare il giusto, uscire
senza sbattere la porta…Allora abbiamo sviluppato un modello per far sì che i
software di intelligenza artificiale estraggano questi valori e li facciano
propri”. Il modello di Riedl si chiama Quixote,
in omaggio a Cervantes. “E’ un sofware che trasforma una storia, o una fiaba,
in una mappa dove ogni possibile scelta del protagonista è rappresentata come
una biforcazione che instrada verso esiti differenti. Quixote fa percorrere questa mappa per migliaia di volte alla mente
artificiale, e la ricompensa con punti per ogni scelta “giusta”. Ripetendo
questo processo con storie e fiabe diverse, i computer possono interiorizzare
un buon numero di regole”. Un po’ come fanno i bambini.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 8
aprile 2016 -
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