Il Commissario Europeo agli affari economici, monetari e
fiscali si è detto “scandalizzato” per le rivelazioni emerse dai cosiddetti
“Panana Papers”. Peccato, però, che l’ottimo Pierre Moscovici ha tentato anche
di dipingere un quadro rassicurante – ma tutt’altro che veritiero – su quanto a
Bruxelles si sta facendo per contrastare la piega delle manipolazioni
tributarie. La sua prima dichiarazione sorprendente è quella in cui si afferma
che in Europa “non esistono più paradisi fiscali”. Certo, se intendeva dire che
nel vecchio continente non ci sono Stati che offrano ai mercanti di capitali
trattamenti simili a quelli di Panama o delle Seychelles, ci sarebbe poco da
dire. Ma cerchiamo di non prenderci in giro. In Europa ci sono fior di paesi
che praticano a mani basse una ancor più insidiosa politica di dumping fiscale
che distorce da tempo il funzionamento stesso del Mercato unico: a cominciare
dal Regno Unito del rinomato David Cameron. (..). Va Bene, Quindi, scandalizzarsi per la grande massa
di quei furbetti o furboni che amano nascondere i loro soldi in luoghi più o
meno esotici. Ma che dire allora delle grandi imprese multinazionali che
domiciliano nel paese europeo più corrivo fiscalmente anche i profitti ricavati
in altri Stati dell’Unione? E che dire, soprattutto, di quei governi sempre
europei che questa politica di compiacenza tributaria hanno esercitato e
continuano ad esercitare impunemente facendo palese concorrenza sleale verso
gli altri membri dell’Unione? (..). L’Assenza Di Serie iniziative in materia tanto da parte
di Bruxelles che dalle varie cancellerie europee costituisce oggi forse la più
seria minaccia alla tenuta sia dell’euro sia del mercato unico. E suona
francamente irridente che sempre lo stesso Moscovici spacci come grande
battaglia ingaggiata dalla Commissione quella di una proposta in (lentissimo)
itinere per obbligare le imprese multinazionali a rendere pubblici i conti di
quanto fatturato in ciascun paese e di quanto vi pagano di tasse. Va bene, per
carità, lo predicava Luigi Einaudi che bisogna prima conoscere e poi
deliberare. Ma non è che ci si possa accontentare di questo futuribile
mozzicone di trasparenza se esso non rappresenta il prologo a una poltica
mirata all’armonizzazione dei trattamenti fiscali di profitti e movimenti di
capitali nell’Unione. Insomma, al ricongiungimento dei poteri del Principe,
magari adottando uno schema consimile a quello del serpente monetario che fece
da incubatrice alla nascita dell’euro. Scandalizziamoci, quindi, per Panama e dintorni,
auspicando magari il ricorso a un’arma risolutiva quale l’embargo finanziario
verso gli Stati fiscalmente canaglia. Ma uno scandalo altrettanto e forse più
allarmante rimane quello di istituzioni europee che sul terreno fiscale
mostrano un’impudica soggezione sia verso i mercanti di capitali sia verso i
governi che traggono ingiusto vantaggio sollecitando l’avidità di costoro. La
lotta ai paradisi fiscali – dentro e fuori l’Europa – non è una missione
impossibile. Naturalmente, occorre che a guidarla non siano dei venditori di
fumo.
Massimo Riva – Avviso ai naviganti www.lespresso.it – L’Espresso – 21 aprile
2016 -
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