“I’m Davide
Casaleggio, from Italy, I’m in a consultancy company and today I came to talk
about Beppe Grillo”. Il
cognome Casaleggio l’ho awntito la prima volta nel 2005, a Parigi, in un convegno
internazionale intitolato Les Blogs 2.0.
Lavoravo da ormai quattro anni come content producer per la versione italiana
di uno dei più famosi portali del mondo. Da due anni avevo un blog personale.
Non esistevano i social network, non esisteva Youtube, non esisteva il
Movimento 5 Stelle. Era finito il boom della new economy con le stock option
nei contratti, ma stava iniziando davvero l’era della divulgazione di Internet,
dell’accessibilità globale alla fruizione e alla costruzione di massa del
sapere. Il web diventava una cosa normale, un ambiente quotidiano, un
ecosistema da scoprire mentre i più visionari continuavano ad allargarlo.
Trovarsi nel cuore di questo processo (o avere la percezione di trovarvisi),
era entusiasmante, contagioso, responsabilizzante. Si faceva parte di una
comunità di gente cool, smart, nerd,
“giovane e dinamica”, orgogliosa e presuntuosa nel voler dare la costante
sensazione di costruire il futuro. Se
non capivi, avresti capito un giorno. Capitava di andare all’estero per esigenze
di formazione. Quando capitava, la sparuta rappresentanza italiana brillava per
la capacità di non brillare, di cercare di farsi notare il meno possibile
rimanendo in disparte per umiltà e consapevolezza dei propri limiti. I casi di
studio erano stranieri, le eccellenze, per lo più, americane. Tutti parlavano
qualsiasi lingua meglio di noi, a volte anche l’italiano. Ma quando tra i
relatori di un panel prese la parola il giovane Casaleggio per esporre da
consulente il “caso” del blog di Beppe Grillo, in qualche modo ci emozionammo.
Non eravamo seguaci, fan o adepti, né conoscevamo i Casaleggio, ma in qualche
modo si parlava di noi, all’estero. Passare dall’essere associati a Grillo, ci
sembrava un progresso. Ripenso a quel momento oggi che del Casaleggio più
celebre, da morto, si tessono lodi mai tessute in vita. Ho sentito opinionisti
azzardare improbabili accostamenti con Berlinguer, non si sa se per l’attività
politica (invero molto occulta, di breve corso e vissuta ai margini dell’agone,
quella di Casaleggio) o per il timore di un “effetto Berlinguer” sulle prossime
elezioni (quando nel 1984, dopo la morte del leader comunista, il Pci vinse le
europee con il 33,3 per cento scavalcando la DC). A me, più realisticamente,
resta il ricordo di quel saltino in avanti. E la consapevolezza che avere avuto
una visione non significa necessariamente averla avuta chiara.
Diego Bianchi – Il sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica -
22- Aprile – 2016 -
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