Non a caso Apollo era Dio della musica
e protettore della medicina insieme: alcune nuove sale operatorie vengono già
costruite con altoparlanti e porte per gli mp3. Ma se ascoltare musica durante
gli interventi sia utile o dannoso è ancora oggetto di dibattito. “Niente
Requiem o musica sacra, per carità. Ma una classica a basso volume può essere
piacevole e rilassante” racconta Enrico Croce, presidente emerito della Società
italiana di chirurgia. “Alla fine dell’intervento spesso allenta la tensione e
crea allegria in sala operatoria” aggiunge Vincenzo Carpino, ex primario di
anestesia all’ospedale Santobono di Napoli. “Ma è importante che il monitor
dell’attività cardiaca e il respiratore siano perfettamente udibili”.
L’argomento è dibattito. Due studi appena pubblicati sono giunti infatti a
conclusioni opposte. Secondo una ricerca dell’Università del Texas pubblicata
sull’Aesthetic Surgery Journal i chirurghi estetici, se operano con un sottofondo,
sono più rapidi e precisi nelle suture. Il Journal of Advanced Nursing al
contrario sostiene che la musica rischia di ostacolare la comunicazione fra
chirurghi, anestesisti e infermieri. La prova? I ricercatori dell’University
College London e dell’Imperial College avevano piazzato telecamere nelle sale
operatorie di due ospedali londinesi: 16 dei 20 interventi registrati sono
avvenuti a radio accesa e, in questi, i chirurghi hanno dovuto spesso ripetere
le loro richieste. In un caso un’infermiera ha persino pregato di abbassare il
volume perché non riusciva a contare i tamponi. A scegliere cosa ascoltare è
quasi sempre il capo chirurgo. Che, come sottolineano i ricercatori di Londra,
spesso non si limita alla musica classica a basso volume, ma fa entrare in sala
operatoria dance music e batterie . “Mi è capitato di sentir chiedere di
abbassare il volume, o di spegnere la radio se alla fine di una canzone
iniziava il notiziario” dice Croce. “Ma, per la mia esperienza, in sala
operatoria è la musica classica a farla da padrona e gli interventi a radio
accesa sono la minoranza”. Carpino nella
sua carriera ha sperimentato anche qualche escursione “nel jazz o nel blues,
perché un’équipe può essere composta da persone di 20 o 70 anni e si cerca di
accontentare un po’ tutti. Ma in generale la musica cantata è meno adatta di
quella suonata”. La prima volta in cui le note entrarono in sala operatoria fu
probabilmente il 1914, quando il chirurgo della Pennsylvania Evan Kane scrisse
degli “effetti del fonografo in sala operatoria, per distrarre il paziente
dall’orrore della situazione”. A dicembre scorso il chirurgo di Cardiff David
Bosanquet ha pubblicato un sondaggio in cui l’80 per cento del personale di
sala operatoria dichiarava che “la musica aiuta a rilassarsi, concentrarsi e
portare meglio a termine l’intervento”. I più entusiasti erano i chirurghi, con
gli anestesisti tiepidi “perché la musica consuma attenzione, riduce la
vigilanza, ostacola le comunicazioni e distrae quando si presenta un problema”.
Bosanquet conclude il suo articolo con una palylist semiseria adatta alla sala
operatoria. In testa Stayin’
Alive dei Bee Gees, Fix You dei
Colpaly e Wake Me Up Before You Go-Go degli Wham. Da evitare Knives
Out dei Radiohead o Scar Tissue dei
Red Hot Chilli Peppers.
Elena Dusi – Scienze Tecnologia Psicologia
Natura Medicina – Il
Venerdì di Repubblica – 28 agosto 2015
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