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domenica 27 settembre 2015

Lo Sapevate Che: L'arte magica di costruire un'infanzia felice...



Deve essere una nevrosi. O la coscienza dei propri limiti. O il senso d’inadeguatezza o di colpa. O l’ansia di non fare abbastanza, O la volontà di offrire il massimo, unita alla deprimente consapevolezza che sbaglierò e che, di certo, ho già sbagliato in passato. Il problema è che il tempo a disposizione è poco e, invece di impegnarci a riempirlo di cose uniche, preziose e durature, ci perdiamo in chiacchiere e in attività oziose. (..).Eppure l’infanzia pone le fondamenta di quello che sarà. Un’infanzia ricca di esperienze e di affetti è un ottimo viatico per un futuro luminoso, privo di tunnel e di mostri. E, soprattutto, l’infanzia dei nostri figli, a differenza delle loro altre età, è interamente nelle nostre mani. Possiamo regalare loro anni memorabili, pieni di incanto, o anni sfilacciati e fragili. (..). Ho tre figli, di q3, 9, 5 anni e questo, già di per sé limita l’attenzione esclusiva che riesco a dare a ognuno di loro. Le intemperanze bizzose del preadolescente di casa (“Mi annoio, non vi sopporto, voglio uscire, anzi no, voglio restare sul divano però da solo, perché non mi volete bene? , guarda che muscoli mi stanno venendo!, cosa fai se prendo a sberle mio fratello?, e se andassi a lavorare invece che in seconda media?”) avrebbero bisogno di ascolto e accoglienza, la vorace e implacabile curiosità del medio (“Cos’è un preservativo? E un’enciclica papale? Che libro leggi? Renzi è di destra o di sinistra? Se esistesse un universo parallelo tu sceglieresti ancora papà?”) dovrebbe essere saziata e l’ansia da prestazione del piccolo che va in prima elementare (“Non imparerò mai a leggere e scrivere, ad andare in bici senza rotelle, a farmi il nodo alla cravatta, a disegnare un cavallo”) andrebbe estirpata sul nascere. Incapace di tener testa alla triplice onda d’urto, generalmente contemporanea e intorno a una stessa tavola, tocco con mano la mia impotenza e i conseguenti buchi neri nelle loro giovani anime. (..). Non li ho mai portati in montagna a sciare, e nemmeno a Disneyland, al Louvre, o a Legoland. Non abbiamo mai preso una nave, non siamo mai stati a Firenze o a Palermo o in barca a vela. Non incoraggio il loro lato artistico, sempre che ne posseggano uno, non ho mai proposto loro di suonare il pianoforte o la chitarra o l’armonica a bocca. Non li ho mandati agli Scout e non ho insegnato loro il francese. Non ho parlato loro a sufficienza della loro bisnonna atea, ebrea e comunista né della sua fuga dalle leggi razziali, in Egitto. Forse non mi sforzo abbastanza nemmeno per istallare in loro un’adeguata coscienza femminista. Con l’arrivo del piccolo, ho anche smesso di leggere loro un libro, prima di dormire. E, per colpa mia, non conosceranno Il giro del mondo in 80 giorni, Le tigri di Mompracem e la Jo di Piccole donne. (..). A poco vale il ricordo delle cose fatte, dell’affetto offerto, della buona volontà. A nulla serve un tentativo di autoassoluzione basato sulle buone intenzioni. Deve essere una nevrosi o una forma di masochismo. “Et si on allait tous à Paris” . “Eh?”. “Mamma, ti prego”. “Non imparerò mai il francese”. E mi consolo pensando che, come diceva mia nonna, “Tanto, comunque, sbagli”.
aelasti@repubblica.it  - Donna di Repubblica -19 settembre 2015

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