Deve essere una nevrosi. O la
coscienza dei propri limiti. O il senso d’inadeguatezza o di colpa. O l’ansia
di non fare abbastanza, O la volontà di offrire il massimo, unita alla
deprimente consapevolezza che sbaglierò e che, di certo, ho già sbagliato in
passato. Il problema è che il tempo a disposizione è poco e, invece di
impegnarci a riempirlo di cose uniche, preziose e durature, ci perdiamo in
chiacchiere e in attività oziose. (..).Eppure l’infanzia pone le fondamenta di
quello che sarà. Un’infanzia ricca di esperienze e di affetti è un ottimo
viatico per un futuro luminoso, privo di tunnel e di mostri. E, soprattutto,
l’infanzia dei nostri figli, a differenza delle loro altre età, è interamente
nelle nostre mani. Possiamo regalare loro anni memorabili, pieni di incanto, o
anni sfilacciati e fragili. (..). Ho tre figli, di q3, 9, 5 anni e questo, già
di per sé limita l’attenzione esclusiva che riesco a dare a ognuno di loro. Le
intemperanze bizzose del preadolescente di casa (“Mi annoio, non vi sopporto,
voglio uscire, anzi no, voglio restare sul divano però da solo, perché non mi
volete bene? , guarda che muscoli mi stanno venendo!, cosa fai se prendo a
sberle mio fratello?, e se andassi a lavorare invece che in seconda media?”)
avrebbero bisogno di ascolto e accoglienza, la vorace e implacabile curiosità
del medio (“Cos’è un preservativo? E un’enciclica papale? Che libro leggi?
Renzi è di destra o di sinistra? Se esistesse un universo parallelo tu
sceglieresti ancora papà?”) dovrebbe essere saziata e l’ansia da prestazione
del piccolo che va in prima elementare (“Non imparerò mai a leggere e scrivere,
ad andare in bici senza rotelle, a farmi il nodo alla cravatta, a disegnare un
cavallo”) andrebbe estirpata sul nascere. Incapace di tener testa alla triplice
onda d’urto, generalmente contemporanea e intorno a una stessa tavola, tocco
con mano la mia impotenza e i conseguenti buchi neri nelle loro giovani anime.
(..). Non li ho mai portati in montagna a sciare, e nemmeno a Disneyland, al
Louvre, o a Legoland. Non abbiamo mai preso una nave, non siamo mai stati a
Firenze o a Palermo o in barca a vela. Non incoraggio il loro lato artistico,
sempre che ne posseggano uno, non ho mai proposto loro di suonare il pianoforte
o la chitarra o l’armonica a bocca. Non li ho mandati agli Scout e non ho
insegnato loro il francese. Non ho parlato loro a sufficienza della loro
bisnonna atea, ebrea e comunista né della sua fuga dalle leggi razziali, in
Egitto. Forse non mi sforzo abbastanza nemmeno per istallare in loro
un’adeguata coscienza femminista. Con l’arrivo del piccolo, ho anche smesso di
leggere loro un libro, prima di dormire. E, per colpa mia, non conosceranno Il giro del mondo in 80 giorni, Le tigri
di Mompracem e la Jo di Piccole donne. (..). A poco vale il
ricordo delle cose fatte, dell’affetto offerto, della buona volontà. A nulla
serve un tentativo di autoassoluzione basato sulle buone intenzioni. Deve
essere una nevrosi o una forma di masochismo. “Et si on allait tous à Paris” . “Eh?”. “Mamma, ti prego”. “Non
imparerò mai il francese”. E mi consolo pensando che, come diceva mia nonna,
“Tanto, comunque, sbagli”.
aelasti@repubblica.it - Donna di Repubblica -19 settembre 2015
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