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domenica 20 settembre 2015

Lo Sapevate Che: Sei tu a dirmi chi sono io....



Nella scuola dell’infanzia di mia figlia quest’anno le insegnanti hanno deciso di lavorare sul concetto di identità. Viene consegnato alle famiglie un foglio in cui si spiega il percorso educativo che si vuole andare a svolgere attorno a questo complesso tema e si dichiara di voler promuovere la memoria personale, la narrazione, l’ascolto e la conoscenza di sé e dell’altro. A un certo punto si cita Giovanni Jervis: La conquista dell’identità. Essere se stessi, essere diversi. Probabilmente con un taglio forzato dalle esigenze di spazio e una de contestualizzazione penalizzante, viene riportato questo periodo: “L’immagine di noi stessi è elaborata non tanto con gli altri quanto soprattutto dagli altri. Basta pensarci un attimo: fin dalla più tenera infanzia sono stati gli altri a dirci chi siamo. Gli altri ci vedono sotto una certa immagine, che noi tendiamo a far nostra”. Da semplice genitore, non da insegnante né da psicanalista, mi si è gelato il sangue. M ha impaurito, soprattutto considerata la fascia d’età dai 3 ai 6 anni, questa eccessiva “esternalizzazione”.
Agnese Doria  agnesedoria@libero.it

Perché le si raggela il sangue per un’ovvietà così evidente? Teme la responsabilità di non aver consegnato a sua figlia un’identità adeguata? Non di preoccupi. Non c’è solo lei nel mondo della sua bambina, e tanti concorrono a formarle l’identità. Perché l’identità è un dono che ci fanno gli altri. Noi non nasciamo con un’identità, ma la acquisiamo dalle relazioni con gli altri che ci approvano e ci confermano nel nostro modo di vivere, oppure ci disapprovano insinuandoci dubbi circa il nostro modo di vivere, oppure ci disapprovano insinuandoci dubbi circa il nostro modo di essere, inducendoci a modificarlo. Ma per comprendere queste cose è necessario capire e soprattutto interiorizzare che il due viene prima dell’uno, perché a generare l’uno è il due. Lo sanno benissimo le donne, più dei maschi, perché il loro corpo, sia che generino sia che non generino, è ordinato biologicamente e psicologicamente anche per l’altro da sé, per cui la relazione viene tendenzialmente prima della loro identità che, in generale, trovano nella relazione. Questo spiega perché le donne tendenzialmente desiderano generare e sono propense, più dei maschi, ad accudire. Ma questo spiega anche perché le donne solitamente esprimono la loro sessualità a partire dalla relazione, mentre i maschi non disdegnano di esprimerla anche a prescindere.(..). Con l’introduzione del concetto di “anima”, il cristianesimo ha affermato il primato dell’individuo rispetto alla comunità, facendoci scordare che la relazione con l’altro e il riconoscimento che dall’altro otteniamo sono l fondamento della nostra identità.  E questo anche quando con le guerre uccidiamo i nostri simili, perché, come ci ricorda Hegel: “Mentre gli animali uccidono per nutrirsi, gli uomini sottomettono e uccidono i propri simili per avere dai vinti il riconoscimento della loro superiorità”. Spero che queste considerazioni non le raggelino ulteriormente il sangue, ma la persuadano che non siamo creatori di noi stessi: ci piaccia o meno, anche per la costruzione della nostra identità, quindi anche per ciò che c’è di più intimo a noi stessi, dipendiamo dagli altri.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 12 settembre 2015

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