Come Ripeto Da Anni, il petrolio sta vivendo un “giorno
del giudizio” prolungato che è ben lontano dalla fine. Nonostante un’estate di
forti ribassi, forse il peggio deve ancora arrivare. Posto in termini semplici,
il problema è che l’offerta di greggio nel mondo continua a crescere per
effetto di investimenti avviati anni fa e ormai impossibili da fermare. Società
di Stato o private che hanno già speso miliardi per sviluppare nuovi giacimenti
non hanno alternativa che completare i progetti e iniziare a ricavare qualche
introito, sperando in un futuro migliore. Così, almeno fino al 2017 l’offerta
continuerà a crescere, al netto del declino di alcune produzioni ormai non
remunerative di alcuni Paesi (Canada, Stati Uniti, e altri). Tuttavia, il
declino è troppo modesto rispetto al parallelo incremento proveniente da altre
fonti, ultime tra le quali l’Iran. (..). Man mano che entreremo nell’autunno, e
poi in inverno, assisteremo a un calo naturale dei consumi che aumenterà il
divario tra offerta e domanda. Per questo è lecito aspettarsi una nuova caduta
dei prezzi e forse qualche momento di panico, probabilmente tra novembre e
gennaio. Una prospettiva su cui pesano anche i dubbi sulla tenuta economia
della Cina e altri Paesi asiatici, fino a ieri unici motori dei consumi
mondiali. Quanto potrà durare tutto questo? Impossibile dirlo, ma è improbabile
che l’oro nero torni a rialzare la testa prima del 2017-2018. In Mancanza di un simile stravolgimento,
tuttavia, nessuno è in grado di far niente per fermare l’inerzia ribassista del
mercato, di tanto in tanto interrotta da fugaci rialzi speculativi.
Perfino l’Arabia Saudita è confusa e
incapace di trovare il bandolo della matassa. In pubblico, il Paese petrolifero
più importante al mondo continua a ostentare fiducia in un prossimo
ribilanciamento del mercato: Lo stesso atteggiamento di molte compagnie
petrolifere e di altri Paesi produttori, che sa molto di litania
auto-consolatoria. Ma in privato i massimi esponenti sauditi tradiscono un
disagio profondo, perché non sanno che fare. (..). Di conseguenza, Riad non vede alternativa alla sua
strategia attuale: massimizzare la produzione e guadagnare quote di mercato
mondiale. “Noi soffriremo, ma gli altri prima o poi andranno a gambe all’aria”,
mi hanno ripetuto di recente esponenti dell’establishment saudita. Il problema
è quel “prima o poi”, che rischia di prolungarsi troppo anche per le capienti
riserve valutarie del regno, da cui il governo deve attingere per far fronte alle
spese centrali che gli introiti petroliferi non coprono più. E in ogni caso è
una speranza inaccettabile quella di attendere che qualcuno vada a gambe
all’aria, per le implicazioni più profonde che questo potrebbe avere. Potrebbe
toccare all’Iraq, alle prese con l’avanzata dello Stato Islamico, o alla stessa
Russia, le cui sfortune politiche e economiche negli ultimi 50 anni, sono
sempre andate di pari passo con i ribassi del prezzo del petrolio (e del gas).
Purtroppo, i prezzi bassi del petrolio non sono soltanto un’opportunità da
festeggiare per i Paesi consumatori, ma anche portatori di ansie e pericoli
difficili da gestire. E l’autunno è alle porte.
Leonardo Maugeri –
Senza frontiera www.lespresso.it Leonardo_Maugeri@harvard.edu
– 17 settembre 2015
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