Come Dire Si fanno di tanto in tanto sondaggi
informali per i quali è richiesto di indicare la parola più amata e quella più
odiata. Di solito la più amata risulta “amore” e la più odiata “odio”,
“guerra”, “morte”. Invece delle parole, insomma si votano le cose. Né si dà
retta a Roberto Benigni che in un suo libro di molto tempo fa diceva:
“Nell’odio c’è Dio, e dentro a Dio ci sono io”. Pare un gioco di parole, ma è
anche una lezione di linguistica. Meno insensato sarebbe un sondaggio sui modi
di dire. Io per esempio non posso sentire l’espressione “ci scappa il morto”.
La trovo cinica e frivola, tradisce un atteggiamento fatalistico e di vile
rimozione. Chi la pronuncia, per il solito, non è immortale: e se il morto che
ci scappa fosse lui? Avvicino a questo modo di dire la reazione elusiva della
duchessa di Guermantes alla notizia che il suo amico Swann è gravemente malato
(in un’esattissima e sconvolgente pagia della “Recherche” di Proust). Il
contrario invece è il verso di Pino Daniele “Tanto muore pure tu” (in “Nun me
scuccià”: muore, con la E), in cui il cinismo è usato in modo non ipocrita, ma
a fini polemici. E quel “pure” sta a significare che il destino è comune, il
parlante non se ne esclude affatto. Cosa mi dispiace di “ci scappa il morto”?
La pretesa di oggettività e l’illusione, proterva quanto fragile, che la morte
altrui non abbia sempre a che fare con la propria.
Stefano Bartezzaghi –Visioni – L’Espresso – 24 settembre 2015
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