Ora è certo siamo stati noi a far
fuori i mammut, i pachidermi lanosi e dalle zanne enormi, perfettamente
adattati al clima glaciale, che cominciarono a “decadere” 13 mila anni fa, per
estinguersi 10 mila anni dopo. In quel periodo avvennero due eventi che
sconvolsero il loro mondo: la fine della glaciazione e l’arrivo nelle loro
terre dei cacciatori umani. Da 50 anni è in corso una vivace discussione su
quale dei due fattori abbia prevalso nella fine dei mammut, ma l’ecologo Lewis
Bartlett, della Università di Exeter, dopo aver testato al computer decine di
scenari sull’interazione fra clima, presenza umana e mammut in Asia, Europa e
Nord America, ritiene di essere arrivato alla conclusione. “Lo schema di
estinzione dei mammut ricalca quello di diffusione di Homo sapiens nelle terre
artiche. Non sappiamo se gli uomini sterminarono i mammut per nutrirsene o
occupando le terre più produttive o dando fuoco ai loro pascoli, di certo
furono più responsabili loro del clima”. Ok, è stata colpa nostra. Ma forse
potremmo rimediare. Questo promette l’annuncio dell’avvenuta lettura integrale
del Dna dei mammut da parte di un team di genetisti, diretti dal canadese
Hendrik Poinar, della McMaster University. I ricercatori hanno operato su
materiale estratto da due maschi congelati nel permafrost siberiano, uno di 45
mila anni fa e uno, trovato nell’isola artica di Wrangel, l’ultimo rifugio
della specie, vecchio di “soli” quattromila anni. “Questa analisi ci consentirà
di individuare tutti i geni che differenziarono i mammut dagli elefanti, da cui
si separarono 400 mila anni fa. Già sono stati individuati i geni responsabili
di alcuni loro adattamenti al freddo, come quelli per i peli lunghi e scuri, le
piccole orecchie e il grasso sottocutaneo” spiega Poinar. In teoria, adesso,
conoscendo l’intero genoma, lo potremmo utilizzare per ricreare la specie. Ma
non è facile. Clonare un mammut, trasferendo direttamente il Dna di una sua
cellula nell’ovocita di un elefante, non è possibile, perché, nonostante il
gelo, i millenni l’hanno troppo danneggiato. Si potrebbero sostituire, uno alla
volta, i geni del mammut ai loro corrispettivi nel genoma di un elefante, come
sta tentando di fare George Church, dell’Università di Harvard, per ricreare
cellule che producano peli di mammut. Ma servirebbero tempi e costi
elefantiaci. Per non parlare delle centinaia di mamme elefante surrogate per
ripetere i tentativi di fecondazione. E’ una strada, insomma, assai ardua. “E
se anche ricreassimo qualche esemplare, dove prenderebbero l’esperienza di vita
accumulata nei millenni passati nella tundra?”, ha detto Adrian Lister, del
Museo di Storia Naturale di Londra. “Quegli esemplari non sarebbero mammut, ma
solo curiosità biotecnologiche da esibizione”.
Alex Saragosa – Animali – Il Venerdì di Repubblica – 11
settembre 2015
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