E Poi C’è La Non
Notizia. La non
notizia è la storia edificante. La non notizia è la buona novella, quella che
tutto sommato non sposta niente perché il mondo in cui vogliamo vivere –
fingendo invece di rifuggirlo, di volerlo diverso, di odiarlo – è un mondo
fatto di sfiducia, di farabutti da temere, di lucchetti da chiudere e non di
porte da aprire e di braccia da tendere. Camminiamo a spalle strette temendo di
essere depredati, derubati, persino scacciati dal nostro stesso Paese. Morto
Gheddafi e seppellito l’infame accordo siglato con Silvia Berlusconi ad agosto
del 2008, un accordo dal nome rassicurante, “Trattato di amicizia e
cooperazione”, è divenuta di nuovo pressante la necessità di preservare,
addirittura “difendere” le nostre coste e i nostri mari (nostri? come se una
terra o un mare possano avere padroni) da chi fugge l’inferno e per anni ne ha
trovato un altro, nei lager che l’Italia aveva commissionato alla Libia, dietro
compenso (circa 5 miliardi di dollari in 20 anni, spacciati per risarcimento
all’ex colonia). Luoghi dove si infrangevano sogni, luoghi di tortura. In cui i
detenuti non erano trattati da esseri umani, prova che la memoria dell’uomo è
fin troppo labile e che l’unica vera leva che tutto muove è l’opportunismo. (..). A Parlare Sono I Numeri. Ad agosto
del 2008 viene firmato a Bengasi il trattato tra Italia e Libia e nel 2010 il
numero di clandestini che raggiungono le
coste italiane diminuisce sensibilmente. Secondo i dati forniti da Frontex, dal
2008 al 2009 gli sbarchi sono diminuiti del 74 per cento. (..). E come le
storie edificanti non incontrano i favori dei grandi media, anche quelle che ci
sbattono in faccia la nostra meschinità hanno scarsa attenzione: la capacità
aberrante di dimenticare la storia e di reiterare sofferenze, finisce per
diventare, in fondo, non notizia. E invece io questa notizia voglio raccontarla
e mi piacerebbe che venisse ripetuta ogni qual volta degli stranieri, di chi
viene da Paesi che non appartengono alla comunità europea, si narrano gesta
infami. E’ una notizia triste e in fondo non fa notizia perché racconta una
verità fin troppo ovvia che conviene ignorare: non esistono persone buone o persone
buone o persone cattive, non esistono categorie di persone che agiscono nel
bene e altre che non lo fanno. (..). Anatolij Karol, era ucraino ed è morto a
38 anni mentre in un supermercato di Castello di Cisterna, in provincia di
Napoli, ha voluto sventare una rapina. Non è stato un caso, l’ha proprio voluto
perché era con sua figlia di un anno e mezzo e aveva già finito di fare la
spesa. Stava andando via quando si accorge che due uomini arrivati a bordo di
una motocicletta avevano fatto irruzione. Anatolij ha messo in salvo sua figlia
ed è tornato indietro. Ha immobilizzato un rapinatore ma l’altro gli ha
sparato. Su di lui poi hanno infierito con diversi colpi alla nuca forse
procurati non con un coltello ma addirittura con una penna, brandita con rabbia
cieca. Questa Ha Fatto Notizia nei media tradizionali solo dopo che i socialnetwork
ne avevano diffuso il racconto ma nessun commento importante da parte del
governo. Anatolij era ucraino. Fosse stato italiano e il suo assassino uno
straniero, oggi su questo caso avremmo avuto attenzione, raccolte firme,
cortei. Fino a che i quotidiani sbatteranno in prima pagina il mostro
straniero, magari sospettato e non ancora condannato, non ci sarà spazio per
altro e saremo destinati a vivere nella paura del diverso. Piuttosto che
crederci arricchiti da quanti con noi creano ormai una comunità e più di noi
muoiono per difenderla.
Roberto Saviano – L’antitaliano www.lespresso.it – 10 settembre
2015 -
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