“Io me sto a addormentà”
sbotta Emma, nipote di anni otto, allo scadere dell’ennesimo, criticissimo
trailer di film di prossima uscita. Sono le 22,30 passate, e per quanto venire
al cinema di Cupra Marittima a vedere Minions il giorno dell’uscita del nuovo
blockbuster possa dare adrenalina a piccini e “punti
famiglia” ai grandi al seguito, resistere non è semplice per nessuno. Ci sono
anch’io, al seguito di nipoti e figlia di anni 12. Con me anche i miei
genitori, più altri parenti, più altri amici, genitori di altri figli. Tre
generazioni e mezza dentro a un cinema una sera d’agosto testimoniano
l’inesorabile scadere dell’estate, nonché la supremazia culturale delle
generazioni più giovani, le uniche ormai, a dettare una linea definitiva,
concreta, visibile. Linea di cui personalmente ignoro ispirazione e capisaldi,
visto e considerato che di questi cazza bubboli gialli detti Minions (spin off
di Cattivissimo Me, film che non ho visto), parlanti un basico esperanto tanto
privo di senso quanto di facile ma tutto sommato inutile comprensione, non so
nulla. Bastano pochi minuti di film introdotti dalla voce di Alberto Angela a
rivelarmi il cambio di passo delle nuove generazioni, la definitiva
rottamazione di usi e costumi di noi accompagnatori. Il popolo dei Minions, nei
secoli dei secoli, pare abbia sempre cercato e continui a cercare un capo cui
essere devoto. A noi pubblico adulto, qui sia per accompagnare sia per leggere
e apprezzare il livello di lettura del film destinato ai grandi (sempre
presente nelle produzioni per bambini), la rappresentazione grottesca e
parodistica del popolo bue bisognoso di un leader non sfugge. Ma la novità che
spazza via tutto è un’altra, a suo modo semplice, rivoluzionaria e
preoccupante. Se noi adulti abbiamo quasi sempre puntato sulla ricerca del capo
“meno peggio” degli altri, le nuove generazioni puntano direttamente al più
cattivo, al “più peggio” di tutti. Appena realizzo, cerco subito riferimenti terreni,
nazionali e internazionali, e tanto mi pare attuale il messaggio e praticabile
la linea Minions, quanto poco mi tranquillizzano i mille riferimenti agli anni
60 e 70 disseminati nel film e l’esondazione delle voci di Fazio e Littizzetto
da Che tempo che fa al mondo dei
cattivissimi. Quando il film finisce e i cattivi hanno la peggio grazie
all’intervento di uno che sembrerebbe ancora più cattivo, noi adulti diamo il
nostro giudizio sull’opera cercando l’uscita prima che i titoli di coda
finiscano. I piccoli no, restano quasi tutti dentro, fino all’ultima cattiveria
possibile, cercando invano, nella finzione rassicurante, qualcosa che possa
sembrare loro più cattivo di quello che troveranno domani nella realtà di
questi giorni.
Diego Bianchi –Il sogno di Zoro- Il Venerdì di Repubblica – 4
settembre 2015 -
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