In conclusione, qual è il mondo che abitiamo?
E’ un mondo divaricato e divergente, purtroppo
gli europei stanno nella metà sbagliata. In America la Grande Contrazione è
finita. In Europa la crisi si prolunga, perché così impongono le politiche
sbagliate che vanno sotto il nome di austerity.
L’America ha tassi di crescita superiori al 2% da
ben tre anni. L’occupazione aumenta di mese in mese. Le potenze emergenti,
dalla Cina al Messico, nonostante le recenti frenate viaggiano a velocità di
crescita ancora superiori. L’eurozona è attanagliata da una depressione
“fabbricata a tavolino”, frutto delle scelte dei governi.
Le politiche economiche non spiegano tutto, sia
chiaro. I maggiori elementi di forza dell’America sono in realtà di tipo
strutturale. Il boom energetico, per esempio: l’America grazie a nuove scoperte
e soprattutto al progresso tecnologico si sta avvicinando a grandi passi
all’autosufficienza energetica, sorpasserà l’Arabia Saudita nel petrolio e la
Russia nel gas. Altro elemento strutturale è la demografia, un fattore di
sviluppo legato ai poderosi flussi migratori. Strutturale si può definire anche
la leadership delle università americane, fucine di innovazioni. A tutti questi
elementi va aggiunto comunque il fatto Barach Obama: un presidente che ha
guidato l’America fuori dalla recessione anche perché, come abbiamo visto, si è
ribellato all’ortodossia rigorista, ed è tuttora impegnato in una dura
battaglia contro la destra. La Grande Rotazione che occupa l’attenzione di Wall
Street è la conseguenza di questo ribaltamento di scenario. Con il prevalere
dell’ottimismo, molti investitori istituzionali stanno “ruotando” la
composizione dei loro portafogli. Alleggeriscono la parte di bond e
incrementano la quota investita in azioni. I bond, soprattutto i titoli di
Stato delle nazioni considerate più solide (Usa, Giappone, Germania), sono
stati a lungo un bene-rifugio per mettere i risparmi al riparo da recessioni e
default. Non solo dall’inizio della crisi del 2007, ma anche prima, il mondo ha
attraversato un’onda lunga favorevole ai bond,l’inizio di un lungo periodo di
Orso in cui obbligazioni e titoli di Stato perderanno valore. Specularmente,
per gli investitori il mercato prediletto diventerebbe quello azionario. Questi
fenomeni finanziari, se confermati, sarebbero il riflesso di cambiamenti
nell’economia reale.
La terapia inflitta dalla cancelliera Angela
Merkel all’europazona si ritorce contro i suoi artefici.
Il gioco è nelle mani delle banche centrali.
Sempre di più, sono loro a infilarsi con un ruolo di supplenza, dove i governi
non vogliono o non riescono ad arrivare.
La politica in alcuni casi sembra relegata in secondo piano.
Un’istituzione multinazionale con sede a Washington, il Fondo monetario, ha
fatto una clamorosa autocritica. In un importante studio che porta la firma del
suo direttore generale Olivier Blanchard, il Fmi ammette di avere sbagliato
sistematicamente le sue previsioni durante questa crisi. E sempre in una
direzione sola: ha sottovalutato la pesantezza della recessione.
Come si spiega questo perseverare nell’errore, a
senso unico? Secondo l’auto-diagnosi del Fmi, sono stati “sotto-stimati gli
effetti moltiplicatori dell’austerity come freno della crescita”.
Questi effetti sono tanto più pesanti se
“l’austerity non è uno shock una tantum”, bensì una terapia protratta su più
anni. E’ esattamente – lo abbiamo visto – la tesi Keynesiana di Obama, Krugman,
Stiglitz e tanti altri in America: “Non si esce dalla crisi a colpi di tagli”.
I salassi al Welfare e ai servizi sociali riducono il potere d’acquisto e i
consumi; la mancanza di domanda deprime gli investimenti e le assunzioni; il
saldo finale è il calo del Pil che “aritmeticamente” fa salire proprio quel
peso relativo del deficit e del debito che si vorrebbe ridurre.
L’errore tragico dell’austerity, se dovesse
rimanere senza correttivi e ripensamenti profondi, sarà un fattore determinante
nel “bruciare” un’intera generazione di giovani europei, le loro aspirazioni,
le loro potenzialità.
E’ una responsabilità enorme, di cui bisognerà
chieder conto a chi queste scelte ha fatto, o non ha saputo contrastare.
Federico Rampini –
“La trappola dell’austerity Perché l’ideologia
del rigore blocca la ripresa”
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