L’Italia ha già fatto i
compiti a casa
Non c’è Paese
dell’Eurozona che abbia varato profonde riforme come il nostro.
Sulla pelle dei
cittadini a cui andrebbe detto un enorme “grazie”.
Però non siamo stati
capaci di spiegarlo a partner e mercati.
Conosci un Paese dell’Eurozona che dal 2010 al 2012 ha
ridotto il numero degli impiegati pubblici e la spesa per retribuzioni nel
pubblico impiego del 4 per cento in valore? Conosci un Paese dell’Eurozona che
sta ormai entro il parametro del 3 per cento del disavanzo pubblico sul Pil e
che ha bilancio in pareggio in termini strutturali? Conosci un Paese che ha un
saldo primario (ossia al netto degli interessi sul debito) attivo ormai da
oltre dieci anni? Un Paese dove la spesa per servizi pubblici e per il
funzionamento della macchina pubblica è ormai di due punti percentuali
inferiore a quella della media europea? Un Paese dove una grande azienda può
disdettare un contratto nazionale di lavoro e farsene uno pensione al ormai si
va nuovo più adatto alle proprie esigenze? Un Paese dove ormai si va in
pensione all’età di 67 anni (uomini e donne), con un sistema che adegua
periodicamente l’età di pensionamento alla speranza di vita dei suoi cittadini?
Sì, lo conosci. Quel Paese è il tuo: è l’Italia. E lo conosci
perché ne hai subito le conseguenze. Per arrivare a questi risultati questo
Paese ha accettato una recessione senza precedenti, pagando un prezzo
eccezionale in termini di perdita di produzione e di lavoro, con una crescita
della disoccupazione che ormai ha superato i tre milioni di persone.
Eppure In Questo Paese si continua a dire che occorrono
riforme profonde, che dobbiamo rendere più flessibile il mercato del lavoro e
che occorre abbattere la spesa pubblica, ossia i servizi per i cittadini. Com’è
che Paesi come Spagna e Portogallo vengono indicati come buoni esempi da
seguire mentre stanno in situazioni molto peggiori delle nostre?
Una ragione c’è. Noi abbiamo fatto molti interventi
correttivi, ma li abbiamo fatti in modo sbriciolato, senza averli messi in un
programma di riforme. E li abbiamo fatti con vari governi (Monti, Letta) sempre
denigrati e fatti cadere perché considerati non in grado di incidere sulle
riforme. E i nuovi governi avallavano questa interpretazione, ripartendo dalle
riforme da fare e dai sacrifici da imporre, come se si cominciasse da zero. Noi
stessi diciamo: dobbiamo ancora fare i compiti a casa. E invece i compiti a
casa li abbiamo già fatti. Almeno in gran parte. Ora occorre “metterli in bella
copia”. Ossia farli vedere, come hanno fatto Spagna, Portogallo e persino la
Germania che ha fatto riforme non dissimili a quelle da noi realizzate,
diventando un modello.
Il Nuovo Governo dovrebbe partire proprio da una bell’analisi
di quanto l’Italia ha realizzato fin qui, sia per capire quello che c’è ancora
da fare, sia per spiegare ai mercati la strada fatta. Una vera azione di
marketing. E dovrebbe, nello stesso tempo, dire un enorme “Grazie” a tutti gli
italiani, e in particolare a quelli che pazientemente hanno sopportato sacrifici
che altri Paesi non hanno conosciuto.
Certo c’è ancora da fare in Italia per riavviare una crescita
economica che è la sola condizione per raggiungere quell’equilibrio che nessuna
altra riforma ci potrà dare. Dobbiamo combattere l’enorme diseguaglianza che si
è formata fra quanti hanno accumulato ricchezza e quanti hanno perso reddito.
Una diseguaglianza non solo ingiusta, ma inefficiente in termini di crescita
economica. I ricchi di patrimonio hanno aumentato il risparmio e non il
consumo, mentre i poveri di reddito non riescono a consumare. E il Paese
declina.
Come fare a ridurre
queste diseguaglianze? Non si tratta di contenere la spesa pubblica (ormai già
compressa) per ridurre le imposte a chi un reddito già lo ha. Se si seguisse
questa strada, le diseguaglianze aumenterebbero. Infatti non sono le tasse
quelle che assicurano una migliore distribuzione del reddito. E’ la spesa
pubblica che riduce le diseguaglianze. Ecco allora che si possono aumentare le
imposte sulle rendite (mobiliari e immobiliari) per finanziare un sistema di
indennità di disoccupazione estesa a tutti coloro che hanno perso un lavoro. In
questa maniera si darebbe un sostegno rapido alla domanda interna e si avvierebbe
una ripresa, al tempo stesso in cui si ridurrebbero le diseguaglianze.
Certo, poi c’è anche da semplificare il Paese, ridurre la
burocrazia, combattere la corruzione e gli sprechi, ridurre il cuneo fiscale.
Ben vengano tutte queste azioni, ma nessuna di esse ci darà risultati nel breve
termine. Ciò che non è una ragione per rinviarle, ma è una ragione per
accompagnarle con l’azione di riduzione delle diseguaglianze che è veramente
urgente e capace di produrre risultati rapidi.
Innocenzo Cipolletta – L’Espresso – 6 marzo 2014
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