E’ illusorio pensare
che tutto il popolo possa partecipare al processo decisionale.
Per far funzionare il
sistema ci vogliono una classe dirigente e un libero dibattito
Postdemocrazia, iperdemocrazia, antidemocrazia: si discute
molto tra gli studiosi, storici, politologi, sociologi, filosofi e perfino
religiosi, di questo problema che comporta anche due questioni accessorie ma
tutt’altro che marginali: il significato attuale dei due concetti di destra e
di sinistra e il ruolo che le nuove tecnologie del Web esercitano sulla
discussione principale.
Sulla “Repubblica” di domenica 23 scorso questi temi sono
stati affrontati da tre autori molto diversi tra loro. Matteo Renzi in
un’introduzione alla ristampa di un libro di Norberto Bobbio che tratta della
questione destra sinistra; secondo Renzi quella distinzione ha assunto oggi
significati talmente diversi e sarebbe più appropriato sostituirla con la
dialettica tra conservazione e rinnovamento. Gli altri studiosi sono Domique
Schnapper (intervistata da Anais Ginori) sull’iperdemocrazia e Roberto Esposito
sul medesimo tema e sul rischio a cui può esporre l’esistenza stessa del
sistema. Ovviamente gli autori di riferimento di questi interventi sono Montesquieu e
Tocqueville.
Pagine Molto Interessanti e dense di implicazioni che inducono
anche me a dedicare qualche riflessione ai due testi della Schnapper e di
Esposito. Su quello di Renzi c’è poco da dire salvo che appena qualche giorno
fa aveva detto che il suo governo è il più di sinistra degli ultimi trent’anni
mentre oggi ci comunica che secondo lui la parola “sinistra” ha perso ogni
significato e si deve parlare di cambiamento il che vuol dire, tanto per fare
un paio di esempi, che Giulio Cesare e Napoleone furono – per come intende la
questione Renzi – due uomini di sinistra perché cambiarono il sistema
senatoriale esistente; ma così pure fu di sinistra Silla nel senso opposto
perché anche lui decapitò (da destra) il sistema senatoriale vigente.
Ma veniamo all’iperdemocrazia, ai rischi che comporta e ai
nuovi problemi che può suscitare. Anzitutto che cosa si intende per
iperdemocrazia? Si intende un aumento dei diritti politici individuali.
L’attenuarsi o addirittura la scomparsa della democrazia rappresentativa e un
altrettanto aumento della democrazia diretta di tipo referendario. Nell’epoca
classica della democrazia ateniese l’istituto referendario era ignoto e la
democrazia diretta veniva esercitata dall’”agorà”, quella che, anche nei Comuni
medievali che nacquero soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, si
chiamava “la piazza”.
Oggi i modelli dell’Atene del IV secolo a.C. e della Firenze
dal Trecento al Cinquecento sono sostituiti dal referendum che prende il posto
dei Parlamenti rappresentativi che operano, legiferano, controllano la pubblica
amministrazione nell’ampio quadro d’una legge costituzionale, presidio dei
valori che guidano i cittadini che l’hanno votata direttamente. La premessa
della democrazia rappresentativa e costituzionale si fonda sull’esistenza di
tre poteri autonomi l’uno dall’altro, che nel loro insieme compongono lo Stato
e sono il potere legislativo di cui è depositario il Parlamento, il potere
esecutivo di cui è titolare il governo è quello giudiziario affidato alla
magistratura.
L’Esistenza E La
Reciproca autonomia
dei poteri e lo Stato che ne deriva costituiscono la premessa della democrazia
rappresentativa ma in teoria potrebbero anche sussistere in una democrazia
diretta o iperdemocrazia che dir si voglia. Questo è lo schema entro il quale
si svolgono gli approfondimenti dellla Schnapper e di Esposito il quale ultimo
segnala il pericolo che una democrazia diretta si trasformi rapidamente in una
democrazia plebiscitaria con le relative malformazioni che la fanno precipitare
nella dittatura della maggioranza o della minoranza basata su lobbies e
corporazioni.
Osservando i percorsi storici e utilizzando la mia personale
esperienza che è stata abbastanza lunga ed anche fitta di incontri e situazioni
molteplici procuratimi dal mestiere che faccio, sono arrivato ad una
conclusione alquanto diversa da quella degli studiosi fin qui citati, salvo il
riconoscimento che tutti ci accomuna sull’importanza del quadro delineato da
Montesquieu sulla divisione e l’autonomia dei poteri che compongono lo Stato di
diritto, senza il quale parlare di democrazia diventa semplicemente un
“nonsense”.
Io Penso Che La Sola
Forma effettiva di
democrazia altro non sia che l’esistenza d’una classe dirigente all’interno
della quale il dibattito sia costante e libero, dando luogo a maggioranze
governanti e a minoranze in grado di esercitare controllo sulla conformità alle
leggi del loro operato. Minoranze che possono liberamente rivolgersi alla
pubblica opinione la quale fa parte anch’essa della classe dirigente, composta
come è da cittadini responsabili ai quali sta a cuore l’interesse comune.
Questa è la classe dirigente, questa è la “polis” che
numericamente rappresenta una parte consistente della popolazione. Un’altra
parte non sente queste sollecitazioni e non ha una visione chiara né del passato
né del futuro. E’ sensibile soltanto alle proprie condizioni individuali,
familiari, sociali, vota quando ne ha voglia o si astiene dal voto sperando che
questo sia un segnale o addirittura un’assenza minacciosa che serva a
migliorare le proprie condizioni e soddisfare meglio i propri bisogni. Non è
infatti un caso che nelle democrazie più mature circa metà degli aventi diritto
al voto non lo esercitano.
Storicamente è sempre stato così. L’ipotesi che vi sia un
sistema dove la grande maggioranza o addirittura la totalità del popolo
partecipi alle scelte che l’interesse generale suggerisce di effettuare non è
una speranza ma un’utopia. Può servire a rafforzare quella parte della
cittadinanza civilmente impegnata, ma non più di questo ed è già molto.
Eugenio Scalfari – L’Espresso – 6 marzo 2014
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