Perché
l’Europa non si fida dei nostri politici
(come non
ci fidiamo noi)
Con il
nuovo governo ricomincia la storiella dell’Italia che dovrebbe andare
in Europa e
“battere i pugni sul tavolo”, come se l’Unione fosse una
riunione di
condominio. Più modestamente si tratta in realtà di chiedere
perdono in ginocchio e ottenere qualche favore,
come farà Matteo Renzi e prima di lui hanno fatto i suoi predecessori, a volte
con successo.
Non è vero che l’Europa è stata sempre troppo
severa nei confronti dei conti italiani, altrimenti non saremmo arrivati a
2.100 miliardi di debito. Lo è dal 2011, quando abbiamo sfiorato la soglia di
non ritorno del 130 per cento del Pil con il rischio della bancarotta alle
porte. In ogni caso, sembra difficile che Renzi possa ottenere più di Mario
Monti ed Enrico Letta, cioè nulla.
L’Europa non ha fiducia nei nostri politici –
come noi italiani, del resto – e ne ha fondati motivi. Nessuno crede che un
governo italiano userebbe i soldi pubblici per rilanciare l’economia con un New
Deal o per investire sull’ammodernamento del Paese, istruzione, ricerca, grandi
opere….
Semplicemente perché nessun governo l’ha mai
fatto negli ultimi trent’anni.
Il colossale debito pubblico italiano è servito a
finanziare la ricerca di consenso da parte di un sistema di partiti ormai
impopolare. Il debito nasce, cresce e si moltiplica (per sette) negli anni
Ottanta, quando la Democrazia cristiana di Giulio Andreotti e il Partito
socialista di Bettino Craxi fanno esplodere la spesa pubblica per crearsi forti
clientele elettorali, alimentare un sistema sempre più corrotto e garantire i
privilegi di corporazioni e categorie, compresi milioni di evasori fiscali.
Silvio Berlusconi ripete la stessa politica, e così pure alcuni governi di
centrosinistra (D’Alema, Amato), con l’eccezione dei due governi Prodi, gli
unici a ridurre il debito.
Il tutto avviene con la complicità di milioni di
cittadini, indifferenti al fatto che saranno i figli a dover pagare il prezzo
di tanta scelleratezza. Con Monti finisce la cuccagna e il risultato è che, in
due anni, Beppe Grillo vola al 25 per cento. Con simili precedenti, perché
l’Europa dovrebbe credere a Matteo Renzi e non pensare che lo sforamento dei
parametri serva semplicemente a foraggiare un’altra campagna elettorale?
Altro discorso sarebbe invece se un governo
italiano s’impegnasse a varare riforme impopolari, lanciasse una vera lotta
contro la corruzione e l’evasione fiscale, magari accompagnate da uno shock,
come la patrimoniale da quattrocento miliardi ipotizzata da Fabrizio Barca.
Figuratevi. I pugni dunque è meglio tenerli in tasca.
Curzio Maltese – Venerdì di Repubblica – 28
–febbraio - 2014
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