Dio è morto,
la politica è malata.
Resta la lingua
Lo scandalo delle intercettazioni
americane alle spalle di Paesi stranieri ha irritato e umiliato gli alleati. Ma
ha anche messo in luce un nuovo collante : l’inglese
e l’asse Anglosassone si è rafforzato
Gli
schieramenti internazionali si modificano solo lentamente, per convenienza
economica o politica. Ma le rivelazioni sugli spionaggi del servizio segreto
americano hanno causato una imprevista aggressività fra alleati. I tedeschi, i
francesi, i brasiliani si sono offesi perché gli Stati Uniti spiavano i loro
governi, malgrado i trattati di amicizia. Gli italiani si sono offesi perché
non sono stati spiati. Come capita a chi conta poco: anche questa è una
mancanza di rispetto.
Non si è,
invece, fatta molta attenzione a una diversa notizia. Esiste nel mondo un
accordo per cui cinque Paesi ( i Cinque Occhi, Five Eyes) non si spiano, mai tra loro: sono alleati non a parole
ma nei fatti: non solo non si spiano ma si informano a vicenda. Al loro vertice
stanno gli Sati Uniti, seguiti da Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova
Zelanda. Sparsi tra il Nord e il Sud della Terra e su tre continenti, cosa
hanno in comune? Lo avete intuito: la lingua inglese e la cultura anglosassone.
Per
allargare la prospettiva, facciamo qualche passo indietro. Nel 1870 Jacopo
Burckhardt tenne a Basilea uno dei corsi più influenti di tutti i tempi. Fra
gli ascoltatori entusiasti c’era addirittura Nietzsche, il quale influì a sua
volta su tutto il secolo XX e le sue ideologie. Burckhardt spiegava che a
muovere la storia sono tre potenze: lo Stato, la religione e la cultura, il cui
cuore pulsante è la lingua. Per i nostri scopi considereremo proprio
quest’ultima come “terzo potere”.
In che
rapporto stanno fra loro i tre soggetti di Burckhardt, a un secolo e mezzo di
distanza? Essi sono legati come un tempo. Le popolazioni hanno bisogno di
contenitori e di certezze: se uno dei poteri perde influenza, le aspettative si
rivolgono inconsciamente a un altro dei tre. Quasi ovunque lo Stato si è
modernizzato e laicizzato. Ma proprio il suo esser divenuto una anonima
“macchina di governo” lo rende meno significativo. In Italia abbiamo la
fantasia che il disprezzo per lo Stato e i suoi rappresentanti sia una
particolarità della nostra penisola. Invece, la partecipazione civica e la
percentuale dei votanti continua a calare in tutto il mondo. Le novità che si
affermano sono quelle dell’anti-politica e dell’anti-Stato, come i Tea- Party
americani.
Nel mondo
contemporaneo, occidentale e globalizzato, la religione perde influenza ancor
più rapidamente. I suoi rinnovamenti ci lasciano il sospetto di esser
rattoppature: per adattarla ai problemi più urgenti, quelli dell’ambiente, si
rivaluta Francesco d’Assisi, profeta poco ascoltato già otto secoli fa, o ci si
rivolge frettolosamente al buddhismo. Unica religione in visibile ascesa sembra
l’Islam. Non a caso: il suo ritorno a forme fondamentaliste è prima di tutto
nostalgia di un califfato universale. Un gigante mondiale perduto che era
Stato, religione e lingua araba unificati, contenitore ben più completo di
quelli europei e cristiani. I musulmani oggi si ribellano perché incorporati in
Stati alieni, con religioni e lingue diverse: nei Balcani, nell’Africa
occidentale, in India, in Cina, nelle Filippine. Quella fondata direttamente da
Dio e dotata di una lingua unificante è la prima e più stabile – quindi
rassicurante – forma di Stato. Anche in Europa l’ultimo Sacro Romano Impero di
Nazione Germanica si è spento solo nel 1806.
Ecco dunque
creato, dall’indebolimento degli altri due poteri, lo spazio per quello che più
resiste ai secoli: la lingua. Si afferma l’inglese, rafforzato da internet,
neo-califfato universale e virtuale. Nasce un nuovo soggetto globale della
geo-politica anglosassone di cultura e anglofono di lingua. Non è una congiura
internazionale di quegli Stati Uniti, che molti chiamano Impero. E’ una marea
secolare spinta dall’inconscio collettivo delle masse, che cercano sicurezza
nei simili e diffidano dei dissimili. E la lingua oggi, quando ci si parla e
scrive istantaneamente attraverso tutto il mondo, è un contenitore di identità
ancor più del colore della pelle, che per millenni ha fornito ai semplici la
separazione tra noi e voi, tra civile e barbaro.
Burckhardt
aveva ragione. Al suo triangolo dovremmo oggi però aggiungere un quarto
fattore, forse anche più potente: l’economia e la finanza. Apriremmo così la
strada a qualcuno che, fra un secolo o più, tiri le somme del rapporto fra i
poteri in cui oggi viviamo.
Luigi Zoja-
Venerdì di Repubblica – 6 dicembre – 2013
(psicanalista.Ultimo libro Utopie
minimaliste)
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