Ciao, Bill
William Weaver è stato
amico di tanti scrittori italiani di cui ha tradotto le opere. Osando di non
essere letterale pur di conservare il senso profondo di un testo. Come quella
volta che si trovò di fronte a un gioco di parole sugli pneumatici
Novantenne, ma da dieci anni ridotto in stato quasi vegetale,
si è spento William Weaver. E’ stato un grande traduttore, e si può dire che è
per merito suo che la nostra letteratura contemporanea è conosciuta e amata nei
paesi anglosassoni. Non Nato in
Virginia, obiettore di coscienza ma cosciente che non si poteva ignorare il
grande conflitto in corso, nella seconda guerra mondiale si era arruolato come
guidatore di ambulanze nell’esercito inglese così si era fatto tutta la campagna
d’Italia, pericolosamente ma senza mai imbracciare fucile. Tra Napoli e Roma
aveva fatto amicizia con tanti scrittori italiani dell’epoca e da allora non
aveva più lasciato il nostro Paese.
Così Ha Tradotto Pirandello (“Uno, nessuno e
centomila” e “Il fu Mattia Pascal”), “La coscienza di Zeno” di Svevo, “Il
Pasticciaccio" e la “Cognizione del dolore” di Gadda, due terzi dell’opera
di Calvino, “La chiave a stella” e “Se non ora, quando?” di Primo Levi, e “La
donna della domenica” di Fruttero e Lucentini, “La Storia” e Aracoeli” di Elsa
Morante, “Il male oscuro” di Berto, “Una vita violenta” di Pasolini, e poi
Cassola, Calasso, De Carlo, Malerba, La Capria, Parise, Soldati, Alba de
Cespedes, Festa Campanile, “Un uomo” e “Insciallah” di Oriana Fallaci.
Per finire, dal 1981 al 2003 ha tradotto quattro dei miei
romanzi e molti miei saggi, e sono stati vent’anni di intensa, splendida
collaborazione, in cui su una sola parola si potevano spendere dei pomeriggi o scambiarsi due o tre
lettere. Se la cultura ha perso un grande scrittore, io ho perso un amico.
Weaver era un grande traduttore non solo perché di un testo cercava di rendere
la fluidità, il ritmo la ricchezza lessicale, il suono (e, per quanto mi
riguarda, talora ha migliorato il mio originale), ma anche perché sapeva che
tradurre significa osare di non essere letterali pur di conservare l’effetto o
il senso profondo di un testo. Per ragioni di spazio mi limito a un ricordo
divertente, di un caso in cui ci eravamo spaccati la testa per rendere una semplice
battuta, peraltro già difficile per il lettore italiano.
Bill stava traducendo il mio “Pendolo di Foucault” ed era
arrivato a un punto in cui due personaggi, ossessionati dall’universo degli
occultisti, e per ironizzare sulla loro propensione a pensare che ogni parvenza
del mondo, ogni parola scritta o detta non abbia il senso che appare, ma ci
parli di un Segreto, si affannavano a trovare simboli misterici nel sistema
legato all’albero di trasmissione delle automobili, che avrebbe alluso
all’albero delle Sephirot della Cabala.
Per il traduttore inglese il caso si presentava difficile sin
dall’inizio, perché in inglese c’è una differenza tra un “tree” (albero,
vegetale e cabi pneumatici dell’auto. Battutaccia, ma i protalistico) e lo
“axle” (automobilistico), ma rovistando tra dizionari Weaver era riuscito a
trovare come espressione autorizzata anche “axle-tree”. Però si era trovato in
un impiccio quando i due personaggi
avevano fatto scattare un corto circuito fulminante tra gli Pneumatici gnostici
(gli Spirituali opposti agli Illici, e cioè ai materiali) e gli pnematici
dell’auto. Battutaccia, ma i protagonisti stavano appunto facendo battutacce.
Solo Che In Inglese le gomme delle automobili non sono
“pneumatici” bensì soltanto “tires”. Che fare? Weaver (come racconta nel suo
diario di traduzione, “Pendulum Diary”, Southwest Review 75,1990), era stato
colto da un’illuminazione ricordando una celebre marca di pneumatici,
Firestone, e aveva associato quel nome all’espressione inglese “philosopher’s
stone”, che è la pietra filosofale di alchemica memoria. Soluzione trovata. Il
testo inglese avrebbe detto che i ciechi occulisti non erano ancora riusciti a
trovare la vera connessione tra la “philosopher’s stone” e i Firestone.
Come si vede si trattava di una battuta diversa da quella
originale, ma il traduttore
Doveva rendere il senso profondo del testo, che non era “ i
protagonisti parlano di pneumatici”
bensì “i protagonisti sono dei
goliardi che giocano dissennatamente sul sapere universale “.
Come avrebbe detto Totò, traduttori si nasce. E Bill lo
nacque.
Umberto Eco – L’Espresso – 5 dicembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento