Un licenziamento Ingiusto E Quel Dolore
Profondo
Che L’Economia Non Calcola
Caro Miche Serra, sono un uomo di 54
anni, figlio di un comunista. Da un paese del Salento a !9 anni sono emigrato
al nord per trovare lavoro. Questo benedetto lavoro con qualche difficoltà l’ho
trovato, e mi ha permesso di mettere su una
Meravigliosa
famiglia. Ho due figlie che adoro e che sono il nostro orgoglio. Queste figlie
sono tra le poche fortune che con mia moglie ci siano capitate; non abbiamo mai
avuto vita facile troppe sofferenze familiari.
Le
battaglie politiche e sociali le ho fatte quasi tutte, tra scioperi e
manifestazioni, girotondi, solidarietà ai lavoratori sulle torri ecc. Arrivato
a un certo punto, non ci credo più. Sono arrivato alla conclusione del
grandissimo Giorgio Gaber: “La mia generazione ha perso”. La mia generazione è
riuscita a rovinare gran parte del lavoro che hanno fatto i nostri padri:
stiamo buttando via gran parte dei diritti che loro ci hanno donato con sudore
e sangue. Mio suocero che non c’è più lasciò in fabbrica anche le sue braccia.
A cui tempi la sicurezza sul lavoro nelle fabbriche italiane non era un granché.
Oggi
mi sono “autosospeso” da questa sinistra, ma non sono cambiato io, sono
cambiati loro, i Violante, i D’Alema. Un partito che ritiene di rappresentare
il mondo del lavoro non può votare in Parlamento una legge che permette la
messa in mobilità e quindi il licenziamento di lavoratrici e lavoratori senza
che ci sia una giusta causa. Non stiamo parlando di sfaticati, stiamo parlando
di persone laboriose che possono dimostrare la qualità e la bontà del loro
lavoro nel tempo. Perché allora può succedere una cosa del genere? Questa è una
vera barbarie. Non si può permettere a questi imprenditori di licenziare decine
e decine di lavoratrici e lavoratori perché vogliono esternalizzare dei
comparti quando la stessa ditta, grazie a Dio, produce alla grande e assume
nuovi operai. Di queste lavoratrice, serie e laboriose, non inclini a
compromessi con un alto senso civico e morale, una di queste è la mia
“ragazza”, è mia moglie
Aro
Michele Serra, io faccio fatica a darle del lei, perché la seguo da quando
eravamo ragazzi, e mi sembra di aver fatto un discorso con una persona
conosciuta. Si sarà accorto che non sono abituato a scrivere, ma questa lettera
mi è servita a tirare fuori un pochino del dolore che sto provando in questo
momento. Mentre le scrivo seduto sul mio divano accanto a mia moglie, c’è
Landini in tv. Grazie a questo sindacalista, mosca bianca, manteniamo quel
briciolo di speranza che sentiamo più per senso del dovere, soprattutto per
dignità nei confronti delle sue nostre figlie studentesse di 22 e 17 anni.
Chiuso con durezza: ho sempre meno fiduca nel presidente dela Repubblica
Napolitano.
Guido
Cosimo – Milano
Caro Guido, non sarai abituato a
scrivere ma la tua lettera colpisce al cuore. Perché trasporta la politica,
l’economia, il travaglio sociale che stiamo attraversando dai titoli dei
telegiornali, dal Parlamento, dalle astrazioni del dibattito tra “esperti” al
tuo divano di casa, dove condividi con tua moglie il dolore di un licenziamento
ingiusto. In termini cinematografici è una zoomata formidabile: Non so quanti
giornalisti (me compreso) abbiano mai usato, scrivendo di licenziamenti, la
parola “dolore”. Tu ci fai capire che in molti casi è quella giusta. C’è una
dignità lesa, nel tuo racconto. Persone stritolate da un ingranaggio, e tutti
che parlano dell’ingranaggio, non delle persone. Credo di capire (e la tua
lettera ci aiuta) che uno dei grandi, tremendi errori che la politica ha
compiuto negli ultimi anni è stato quello di accettare che l’economia imponesse
come solo paradigma i suoi numeri, il suo funzionamento “tecnico”, la sua
inespugnabile quando indimostrata “scientificità”. Il resto, tutto il resto, è
sembrato solo un corollario sentimentale, antiquato quanto le vecchie
ideologie. Invece tutto il resto era ed è ancora carne, le braccia di tuo
suocero rimaste in fabbrica, fatiche e speranze, lotte e delusioni. Credo che
Landini ti piaccia anche perché, ben al di là delle sue posizioni sindacali, in
lui è ancora avvertibile il profondo vincolo umano (prima che politico: umano)
con il mondo del lavoro. E credo, che la sinistra ti dispiaccia perché, perfino
al di là delle sue colpe specifiche, la perdita di quel vincolo (un tempo
fortissimo, e davvero “organico”) ha finito per snaturarla, e per ridurla nello
stato di confusione nel quale versa, la poveretta, a volte ammettendolo e
domandando aiuto, a volte nemmeno quello.
La tua “autosospensione” è certificata,
del resto, anche dal progressivo passaggio di gran parte del voto operaio ad
altri partiti o all’astensione.
Se fossi un dirigente della sinistra
verrei a sedermi sul tuo divano, con il permesso di tua moglie, e cercherei di
spiegarti che non siete voi due ad avere bisogno della sinistra, è la sinistra
ad avere un disperato bisogno di quelli come voi.
Grazie, infine, per volermi dare del tu.
Come vedi, ho fatto il primo passo.
E per me è un onore.
lapostadiserra@repubblica.it –
Venerdì di Repubblica – 28-6-13
quello che scrivi e' giusto!
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