Innamoratosi della sua immagine
riflessa, Narciso, nel tentativo di abbracciarla, si gettò nell’acqua e annegò.
Eppure l’amore a volte può fare miracoli
Ho
letto nella sua rubrica su D l’articolo Quelli
che si amano troppo e non sanno amare.
Il
tema mi interessa e mi riguarda da vicino, non solo perché sono uno psicologo e
uno psicoterapeuta, ma anche (e soprattutto) perché mi ritengo chiamato in
causa personalmente da ciò che lei dice a proposito dei narcisisti. Ritengo
infatti di essere portatore in una buona misura di questa “nevrosi”. Inutile dire che, presa la strada di questo
difficile mestiere, mi sono sottoposto a psicoterapie lunghe, faticose e anche
di natura diversa, con lo scopo di prepararmi a un lavoro che richiede quanto
meno una profonda consapevolezza di sé e dei propri nuclei problematici, mosso
anche dalla percezione delle difficoltà che queste caratteristiche causavano,
soprattutto nella mia vita di relazione. Ho fatto sicuramente dei passi avanti,
ho incontrato la sofferenza e il dolore inespresso, ho preso più confidenza con
le mie emozioni, ho aumentato la mia tolleranza alle frustrazioni e migliorato
la capacità di gestire sentimenti scomodi, ma il mio narcisismo di fondo è
rimasto intatto, come testimonia una vita affettiva sempre precaria e
tormentata.
La
domanda che le pongo prende spunto dalle ultime righe del suo articolo, dove
parlando dei narcisisti, lei suggerisce che da loro “bisogna stare lontani,
perché costituzionalmente non sanno amare. E dal narcisismo non guariscono
mai”.
Ora
le chiedo: se lei fosse uno di questi narcisisti, che cosa farebbe? Come si comporterebbe, sapendo di essere una
persona “da trattare con cautela”, soprattutto sa parte delle donne in cerca di
legami affettivi stabili? E se dovesse dare un consiglio a quanti hanno
imparato a essere consapevoli e a non farsi prendere troppo la mano cosa
suggerirebbe loro? Visto l suo pensiero, secondo cui dal narcisismo non si
guarisce (e francamente non so darle torto), forse non li inviterebbe ad andare
in terapia. Ma allora non c’è proprio nulla da fare per queste persone, tutto
sommato infelici?
G:B:
La sua lettera, che non ho potuto
pubblicare interamente per l’insopportabile tirannia dello spazio, mi ha molto
commosso per la sua ricerca sincera di una via d’uscita dal narcisismo. E anche
se questa via d’uscita fosse preclusa, il fatto di non smettere di cercarla
significa già attenuare gli aspetti più sgradevoli e anche infelici del
narcisismo.
Tutti nasciamo narcisisti che amano solo
se stessi, e gli altri limitatamente alla loro capacità di soddisfare i nostri
bisogni. Questo amore di sé è alla base dell’istinto di conservazione ed è
particolarmente evidente nella primissima infanzia, dove il bambino ama la
madre unicamente perché questa soddisfa le sue necessità. Crescendo, il bambino
rivolge la sua libido agli oggetti esterni e alle persone altre da lui, Nel
caso del narcisista questo passaggio non avviene o, se avviene, la libido che
temporaneamente ha investito gli oggetti esterni viene ritirata e rivolta a sé.
Questo processo è definito da Jung: “introversione della libido”, che si
riscontra anche nelle persone non narcisistiche quando sono in uno stato di malattia
o di vecchiaia.
Non mi chieda che cosa farei io se fossi
narcisista. Probabilmente mi rassegnerei come chiunque è costretto a fare se ha
una menomazione. E il narcisismo è una menomazione, perché, nello sviluppo
psichico, non si è riusciti a investire la libido sugli oggetti esterni, e se
ci si è temporaneamente riusciti, la si è subito ritirata per rivolgerla a sé.
Non mi chieda neppure un consiglio, perché non so a quale tipo di narcisismo
lei appartiene. Infatti, a sentire Freud, le patologie narcisistiche sono molto
diverse a secondo che la libido sia rivolta a) al proprio io, b) a quell’io che
si vorrebbe essere (ideale dell’io), d) o addirittura alla persona che si ama
unicamente perché possiede le prerogative che mancano al proprio io per raggiungere
il suo ideale.
Esiste una terapia? A questo proposito Freud scrive che: “Al
progetto terapeutico si frappone naturalmente l’incapacità di amare del
narcisista, che si sottrae alla prosecuzione della cura, per affidare alla
persona amata l’ulteriore processo di guarigione, con tutti i rischi connessi
alla pesante dipendenza del malato da colei che si è prestata a questo estremo
salvataggio. A Questo punto non resta che sperare che l’amore faccia miracoli,
e qualche volta li fa.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 20-7-13
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