Trattare
un bambino di cinque anni e nove mesi, che piange spaventato, come se fosse un
pericoloso nemico adulto, e umiliare suo padre davanti a li e a causa di lui,
non è solo un’infamia: vuol dire fare di quello e di tanti altri bambini,
asciugate le lacrime, irriducibili e temibili nemici. E’ successo il 9 luglio a
Hebron, il video è in rete da ieri, da un militante di B-Tselem. B-Tslem
significa, dalla Genesi, “a sua immagine”, è una preziosa organizzazione
israeliana per la difesa dei diritti umani nei territori occupati. Il bambino
si chiama Waadi, il suo giovane padre Abu Karam Maswadeh. L’operazione è
condotta da una decina di soldati e un ufficiale. Volevano portarlo via da solo
– ha tirato un sasso all’auto di un colono, dicono; testimoni dicono che l’ha
tirato a un cane – ma sua madre si è opposta, vuole che arrivi il padre, altri
bambini, specialmente una minuscola e risoluta, lo circondano e lo
incoraggiano. Arriva Karam e chiede: “Perché volete arrestare un bambino di
cinque anni?” Ha tirato un sasso. Lui cerca di farli ragionare, invano. Li fanno
salire sulla camionetta, li portano via insieme, Waadi piange e si stringe al
padre. Li chiudono per mezz’ora in caserma. Poi i soldati ammanettano il padre
e gli bendano gli occhi con una fascia bianca, e li portano a piedi, in una
ostentata gogna, fino al checkpoint 56 (non so se sia un numero ordinale, certo
Hebron è piena di checkpoints), dove li trattengono un’altra mezz’ora. L’uomo
di B-Tselem filma tutto, i soldati lo fotografano più volte, per intimidirlo:
ma tutta la scena si svolge in una surreale tranquillità. “Mera routine”,
osserverà un commentatore israeliano, aggiungendo: “Mero razzismo”. Arriva un
ufficiale più alto in grado, il padre – che parla l’ebreo oltre all’arabo e l’inglese
– è in grado di seguire i loro discorsi: l’ufficiale li rimprovera per averli
arrestati platealmente davanti alle telecamere: danno l’immagine. Allora un
soldato slega il padre, gli toglie la benda e gli dà dell’acqua. Padre e figlio
vengono consegnati a poliziotti palestinesi, e subito rilasciati. Il video è un
incidente, ma rivela che l’arresto di bambino e genitori e la loro consegna
alla polizia è la norma, illegale, naturalmente. L’età minima per la
responsabilità penale è di 12 anni. Nessun bambino israeliano che tirasse
pietre a palestinesi è mai stato arrestato, e neanche gli adulti. Hebron, che
per i palestinesi è Al Khalil, capoluogo della Cisgiordania meridionale,
occupata dal 1967, sacra a tutte le religioni monoteiste, è abitata da più di
150 mila palestinesi, da 700 coloni israeliani, e più di mille soldati a loro
difesa. A Hebron, nel 1994, Baruch Goldstein, medico colono dell’insediamento
di Kiryat Arba, fece strage di palestinesi in preghiera nella moschea di
Ibrahim- la tomba dei patriarchi: il primo attentato suicida avvenne
proclamando di vendicare quella carneficina. Dicono che il viaggio a Hebron
stringa il cuore. Che i soldati israeliani e i bambini palestinesi giochino
come il gatto coi topolini. Che l’esercito scorti i coloni e i visitatori
sionisti in incursioni sprezzanti ai quartieri palestinesi. Che le aggressioni
per sradicare colture e forzare i palestinesi a lasciare altre terre ai coloni
siano continue. Dall’alto della città vecchia divenuta un luogo fantasma, è
stesa una gran rete per impedire ai rifiuti, i sassi, le bottiglie lanciate
dagli haredim incattiviti di colpire i passanti palestinesi. Dicono che ai più
fanatici piaccia pisciargli sopra, dall’alto. Molti anni fa c’era in Israele un
gruppo di riservisti pacifisti che aveva scelto per titolo “Yesh gvul”, che
vuol dire “C’è un limite”. Non so se il gruppo ci sia ancora. Il limite
dovrebbe esserci, sempre, dovrebbe esserci un limite a tutto. Il 9 luglio è
stato di nuovo superato.
I
cristiani sussultano specialmente alla vista di un giovane uomo incolpevole
trascinato per le strade da armati con gli occhi bendati: gli ricorda un altro.
E non c’era il bambino. Ma non occorre essere cristiano per sussultare. Ho
letto i commenti sul sito di Haaretz, combattuti, alcuni orrendi, altri
ammirevoli. Uno ha scritto: “Anch’io da piccolo ho tirato un sasso alle
bambine. Mi hanno castigato e non l’ho più fatto”. Un altro ha risposto: “
Hanno anche portato via tuo padre con gli occhi bendati?”.
Adriano
Sofri – La Repubblica – 12-7-13
Nessun commento:
Posta un commento