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Per
quanto ognuno di noi cerchi di estraniarsi dal presente, di chiudersi nel suo
bozzolo, di starsene al riparo accucciato fra i suoi, di pensare alla salute,
la realtà brutale lo investe e lo travolge. Non c’è più sfera del privato che,
come tale, non si degradi nell’egoismo gretto: inutile nascondere la testa
sotto la sabbia, chiudere gli occhi per non vedere. Ad ogni risveglio, ad ogni
contatto, la violenza ci aspetta, esplosiva o latente, gravida di veleni,
velleitaria e inafferrabile. La violenza è in noi, e tutti ne siamo
contaminati.
Siamo
ridotti ormai a destarci dal sonnambulismo solo quando crepitano le pistole,
quando i bersagli illustri richiamano curiosità morbose e passeggere. Sembra
che i morti servano ad alimentare le cronache, ma non pesino sulla coscienza di
ciascuno. Sgomenta il mitra, abbiamo orrore del sangue, ma l’aggressività
esasperata dalla lotta per la vita fermenta di continuo nelle nostre società e
le educa alla sopraffazione beffarda, al culto della forza e dell’astuzia.
L’uomo ideale non è più quello educato, giusto, probo, ma l’esperto di Karatè,
il dritto che piazza i bidoni, il prendono bello che fa strage i assegni a vuoto
e di cuori infranti, o anche solo il piccolo prepotente che non rispetta il
codice della strada o gli obblighi tributari.
Tutti
invocano maggior libertà per farne un pessimo uso, ignari che la libertà è un
punto di arrivo, una lenta conquista che si attua spezzando si le catene, ma
costruendo al tempo stesso, dentro di sé, gli incavalcabili divieti della
moralità: quel senso del dovere che è più severo di cento custodi in divisa.
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Luigi
Firpo – Cattivi Pensieri
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