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Il Processo Ai Notabili
In
una lettera aperta pubblicata sul “Mondo” del 28 agosto 1975 e ribadita sul
“Corriere” del 24 (i settimanali anticipano l’uscita reale rispetto alla data
apparente) Pier Paolo Pasolini lancia una proposta politica radicale. Una
distanza ormai incolmabile separa, a suo avviso, il potere democristiano il
“Palazzo”, come egli lo chiama), dal Paese reale. Una visione settoriale degli
innumerevoli problemi che ci affliggono e ci illudiamo di poter risolvere uno
per uno, viene artificiosamente suggerita da chi ha tutto l’interesse a
dissociare le responsabilità e ad evitare una presa di coscienza dell’insieme.
Solo la follia e l’omertà dei commentatori politici e degli intellettuali
impedisce agli italiani di capire a qual punto sia giunta la degenerazione del
nostro sistema politico. Non si tratta di affrontare questioni specifiche, come
il sottogoverno o la delinquenza minorile, bensì il male ignobile che ci corrode,
la nostra peste globale: Pasolini la identifica con la Dc, una “mafia
oligarchica provenuta dal fondo della provincia più ignorante”. La risposta
vincente, il toccasana, sarebbe un grande processo penale indetto da Psi e Pci,
che chiamasse sul banco degli accusati “Andreotti, Fanfani, Rumor e almeno una
dozzina di altri potenti democristiani (compreso forse per correttezza qualche
presidente della Repubblica”.
L’ipotesi,
lo confesso è suggestiva; la tiratura dei rotocalchi aumenterebbe, se ne
verrebbero a sapere delle belle. Ma non avrà seguito e resterà come un’ipotesi
fantapolitica, un sogno poetico.
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Fra
le accuse più concrete bisognerebbe poi distinguere quelle di inettitudine
politica dalle altre, che implicano gravi responsabilità morali e non di rado
anche penali. Tra le prime stanno la colpevole incapacità di reprimere il
neofascismo, la distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, il caos
nella scuola, negli ospedali, nei pubblici servizi, l’esodo “selvaggio” dalle
campagne, “la stupidità delittuosa della televisione”, in una parola
insufficienza, il provincialismo, il venir meno dell’efficienza che è lecito
esigere da chiunque abbia posto la propria candidatura alla gestione del potere
democratico. In questo senso, e in quanto portatori di questi valori, Pasolini
dice che i comunisti sarebbero i veri democristiani, gli eredi di questa
vocazione tradita.
Al
secondo gruppo di accuse sono da ascrivere le manipolazioni del denaro
pubblico, gli intrallazzi con petrolieri e industriali (a torto Pasolini
aggrega anche i banchieri, perché questi sono democratici di nomina governativa
), le connivenze con la mafia, la collaborazione col servizio segreto americano
e gli illeciti impieghi di quello italiano, la “distribuzione borbonica delle
cariche pubbliche ad adulatori”, in sostanza, la tabe del sottogoverno e del
privilegio corporativo.
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Come
si può processare chi ancora detiene il potere?
Ebbene,
questo mezzo c’è, ed è molto più silenzioso, radicale, implacabile, definitivo,
di quello astratto e metaforico che Pasolini vagheggia: è il processo
quotidiano, lento, sofferto, che si celebra nel profondo delle coscienze
oneste, nel segreto di ciascuno di noi, là dove l’esperienza dell’oltraggio,
del male, della vergogna, matura in indignazione crescente, si assoda nel
consapevole rifiuto, assume la libera discussione, non occorrono giudici
togati: sempre se ne trovarono per stilare sentenze di morte i dittatori caduti
e petizioni servili ai nostri padroni. Verona insegni. Non occorrono gabbie né
manette, carabinieri né giurati: bastano le poche assi di una cabina
elettorale, una piccola scheda. Basta la presa di coscienza di tutti gli uomini
di buona volontà.
31 agosto 1975
Luigi
Firpo – Cattivi Pensieri
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