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martedì 23 luglio 2013

Lo Sapevate Che: L'Emozione Vera...


L’emozione Vera Non E’ Nelle Cose

Marx scriveva: “Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria”. L’effetto “buono” della crisi sarebbe ritrovare la capacità di innamorarsi delle persone, e non più solo degli oggetti

Viviamo ancora nell’epoca delle emozioni a entropia crescente, caratterizzata dalla dissipazione spensierata dell’energia per dare alimento a un sistema economico oggi in crisi. Ma proprio la crisi obbliga i consumatori a riappropriarsi di una razionalità smarrita, e a dare la priorità a spese ineludibili rispetto a quelle superflue, che però contribuivano a tenere in piedi il castello di carte di un’economia drogata. L’apice di questa follia epocale può essere ben simboleggiato da quei pupazzi che si muovono, abbaiano o cantano che, una volta tornati a casa dall’ennesimo viaggio di lavoro, strappavano un sorriso – due no, ma uno sì – ai nostri bambini, e con i quali ci illudevamo di lenire la loro ansia di abbandono. Li avevamo così abituati al rito del gadget usa e getta che, se ci presentavamo a mani vuote, la loro delusione ci suscitava qualche perplessità sul senso della nostra vita.
Un senso dominato dall’acquisizione compulsiva che,in virtù delle emozioni che evoca, assurge a bisogno primario.
Con la crisi occorre tornare ad apprezzare le emozioni a bassa entropia, quelle che ci danno non macchine sempre più veloci o limoni che vengono dal Cile, che bruciano tonnellate di carburante e inquinano l’atmosfera, ma un ritrovato e sano rapporto con la natura, nonché la coltivazione di rapporti umani trascurati da troppo tempo e la rivalutazione dell’amore come forza aggregante. Emarginarsi dallo shopping per trovare altre fonti di emozioni non solo è possibile ma è diventato vitale.
Giuseppe Iardella

Senza emozioni non si può vivere, perché le emozioni sono il fuoco della vita, il fattore che, senza mediazioni razionali, nella gioia e nel dolore, scuote l’anima e la fa vibrare. Siccome però le emozioni non esistono in sé, ma solo in relazione al mondo in cui si vive, man mano che il mondo è diventato mercantile, le emozioni si sono spostate dalla relazione con le persone, com’era al tempo in cui eravamo più poveri, al mondo degli oggetti che il mercato non riuscirebbe a vendere se in qualche modo non suscitassero emozioni.
Onnipotente in questo settore è per esempio il sistema della moda che, avendo saldato le sue creazioni all’identità di ciascuno dei suoi prodotti come irresistibile possiamo immaginare sia l’acquisto dell’identità che desideriamo. E allora, non solo nella moda, ma in tutti i campi, il mercato esige che non si producano solo merci per soddisfare bisogni. Ma si producano anche i bisogni per garantire la continuità della produzione delle merci. E come si fa a produrre il bisogno di una merce di cui non si sente propriamente il bisogno? E’ sufficiente produrne una capace di suscitare emozioni, e in ciò la pubblicità è maestra. E senza farsi troppi scrupoli, allena anche i bambini a emozionarsi davanti a certi dolci o a certi giochi, consentendo ai genitori di gratificare i loro piccoli con i prodotti pubblicizzati, che stanno al posto del poco tempo a loro dedicato per ascoltarli e per incuriosirsi di loro.
Ma il mercato ha contaminato anche la politica che affida la sua propaganda a operatori di mercato che sappiano individuare quali promesse, anche se non verranno mai mantenute, possono emozionare, o quali sentimenti di rivolta, anche se improduttivi qualora non siano anche propositivi, possono suscitare emozioni, ottenere consenso. Non parliamo poi delle trasmissioni televisive, che per raggiungere l’effetto desiderato puntano sull’efficacia dell’impatto emotivo, spesso a scapito del rispetto delle persone nel caso dei fatti di cronaca, e delle buone argomentazioni nel caso delle discussioni sui temi politici.
L’ipotesi del nostro lettore è che tra i tanti mali determinati dal crollo del mercato e dalla povertà crescente, ci sia come unico bene lo spostamento delle emozioni dall’investimento sulle cose all’investimento sulle persone. Uno spostamento che ci potrebbe far uscire da quel solipsismo di massa in cui siamo caduti, a favore di una più intensa comunicazione e una maggior solidarietà, simile a quella che caratterizzava il vissuto emozionale delle generazioni che ci hanno preceduto, più povere di cose e più ricche di valori e di ideali.
Un ritorno al passato non è possibile e neppure augurabile, ma disinvestire dalle cose per investire sulle persone è possibile e anche auspicabile. Non avverrà per un impegno collettivo, ma per necessità. E ciò che avviene per necessità, avviene davvero.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 6-7-13


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