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giovedì 8 marzo 2012

Noi Donne Orgogliose E Libere Di Essere Diverse


ELENA LOEWENTHAL

Che cosa ci dice, oggi, questa esplosione di fiori gialli? La mimosa è una creatura modesta eppure prepotente, s’arrampica nei luoghi più impervi, è tenace con la terra e sfida le intemperie. Quest’anno in molti luoghi è fiorita troppo presto, ingannata dal caldo, poi si è intirizzita. Ma oggi è dappertutto: nelle mani e nei capelli, sugli angoli di strada. La giornata internazionale della donna, comunemente chiamata «festa», è in realtà memoria di un evento terribile: un incendio divampato in una fabbrica dove morirono tante operaie.

Al di là dell’equivoco di fondo che ha trasformato in allegria festosa un tragico ricordo di morte, al di là dell’inevitabile dose di retorica che in questo nostro presente tanto laicizzato quanto affamato di celebrazioni ogni ricorrenza porta con sé, è lecito domandarsi quale sia, ancora, il senso di questa giornata particolare. A incominciare dalla sua denominazione ufficiale, che racchiude il femminile in un singolare generico: questa è la festa non delle donne, ma della donna. Come una sorta di entità astratta, inafferrabile e fors’anche angelicata.

La donna come singolare femminile, nella nostra certo difettosa e perfettibile ma tutto sommato progredita civiltà, non esiste più. Se c’è una conquista che possiamo rivendicare, noi che ci siamo ritrovate con il grosso del lavoro fatto dalla generazione precedente quella dei reggiseni al rogo e delle grandi battaglie per l’emancipazione - questa conquista è il nostro diritto alla pluralità. Non siamo più una massa indistinta che la pensa e la dice all’unisono. Non abbiamo più bisogno dell’unanimità come arma di lotta - l’unica che in fondo avevamo, noi donne, negli ultimi millenni. Da queste parti possiamo ormai rivendicare il diritto a non essere più tutte eguali, a non doverci ritrovare sempre tutte sullo stesso fronte, sempre tutte dalla stessa parte. Questo discorso vale ovviamente soltanto per noi, donne emancipate dell’Occidente. Noi che non abbiamo più bisogno di identificarci in un unico modello, di schierarci compatte per ottenere ciò che ci spetta, in quanto umanità rimasta marginale perché qualcun altro ti ha imposto quell’angolo d’esistenza, sin dai primordi della storia. Questo discorso non vale per i milioni di donne che debbono ancora lottare per tutto ciò. Il loro femminile singolare va rispettato per quello che è e deve essere. Ma il nostro, ormai, ci sta un po’ stretto. Negli ultimi quarant’anni abbiamo imparato il valore aggiunto del plurale e come tale ci consideriamo - prima ancora di pretendere di essere considerate: non un insieme monocorde, tutto eguale a se stesso. Piuttosto un universo colorato e discordante, come i tanti fiori diversi che in questa beata stagione fanno capolino dalla terra, sui rami ancora spogli degli alberi.
La Stampa - 08-03-09

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