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mercoledì 28 marzo 2012

Lo Sapevate Che: A Dalla


A Dalla, Inventore di Parole, E’ Dedicato “L’Inno Che Verrà”

All’inizio del mese è morto Lucio Dalla, ed è inevitabile che un protagonista della lingua italiana come lui abbia dato parecchio anche ai giochi di parole. Non solo perché ne faceva, ma anche perché ne rendeva possibili molti altri grazie alla forma delle sue parole e delle sue invenzioni linguistiche.
Ne faceva, già a partire dal gioco più “di base”, il primo di tutti e di tutti forse anche il più difficile: l’invenzione della lingua. A partire dagli esordi, e dal Sanremo con Paff…bum, per finire con la partecipazione a Taratatà nelle vesti di Dio lisergico e di cantante di scat (in Psichedelia,  con Elio e le Storie Tese: si trova su You Tube e non mancatela), Dalla partiva proprio dalla continua reinvenzione del linguaggio ed è forse stato il più grande oratore in grammelot dopo Dario Fo. Chi l’ha visto dal vivo non può dimenticare la gag del clarinetto, che smontava e rimontava spiegandone il funzionamento appunto in grammelot per poi incominciare a suonare attaccando (se non ricordo male) Ma come fanno i marinai?Ma poi sono giochi e invenzioni anche i titoli e versi come “Telefonami tra vent’anni!” o “Che banche, che cambi!”. Per non parlare di una parola come “sprassolato”, vero hapax legomenon dalliano.
Da noi, qui, il gioco delle canzoni sbagliate si è chiamato “L’inno che verrà”, con implicito omaggio dalliano e tentativo di dare un titolo che rappresentasse il gioco mostrandone in meccanismo. Nessuno, ovviamente, si è mai sbagliato a cantare “L’anno che verrà”, ma altri lapsus sono abbastanza comuni. Autori di testi (come il poeta Roberto Roversi è stato Dalla) e cantautori (come Dalla stesso, ovviamente) dagli anni settanta hanno amato produrre testi ermetici o non-sense, il che non
poteva mancare di generare equivoci e lapsus fra i fan. Su Dalla io ne avevo raccolti in particolare due: (da Milano) “Milan è ben fica” da una mia amica ignara di gioco del pallone e Benfica; l’altra (da Cara) è mia, ma non solo mia: “ il risotto era uno sputo” (anziché “ Io di sotto ero uno sputo”).
Stefano Bartezzaghi- Venerdì di Repubblica – 16-03-12


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