Trent’anni fa, quando
la Stampa m’inviò al Giro d’Italia, il grande Gian Paolo Ormezzano mi disse:
“Ora scoprirai di vivere nel Paese più bello del mondo”. Nulla di più vero. Al
ritorno scrissi che si doveva sostituire il servizio militare con un
volontariato itinerante di un anno per consentire a tutti i giovani italiani di capire che razza di
fortuna gli fosse capitata sotto i piedi. La modesta proposta suscitò una viva
ilarità, ma forse non era del tutto scema. Mai come in questi trent’anni si è rivelata vera la vecchia idea
di Ennio Flaiano, secondo la quale di tutte le invasioni straniere dell’Italia,
la peggiore è stata quella degli italiani. Ho girato questa estate una delle
coste più belle d’Europa, quella ionica da Taranto a Santa Maria di Leuca,
ormai devastato da colate di cemento e abbozzi di orribili villette sul mare.
Tutto questo accade nella totale indifferenza. Nonostante la ricchezza
proverbiale dell’Italia siano il patrimonio artistico e il paesaggio, nella
vita pubblica nazionale il tema è inesistente. Politica, sindacati, giornali e
tv non ne parlano quasi mai. Le rare volte, accade per polemiche assurde e
provinciali, come l’ultima sulla nazionalità dei nominati alla guida dei musei.
Come se davvero la questione fosse di stabilire se il direttore degli Uffizi
debba essere di Colonia o di Fiesole. Il problema vero, come sa il bravo e
volenteroso ministro Dario Franceschini, è che l’Italia da decenni non investe
più nel settore, anzi toglie sempre più risorse, al contrario di quanto avviene
nel resto d’Europa. Nella convinzione stupida e ignorante che non serva
investire in cultura, ma magari in vecchie industrie decotte. In questo modo,
dopo aver perso tanti treni della globalizzazione, l’Italia rischia di perdere
anche l’ultimo e il più facile e naturale, quello del boom del turismo
mondiale, che per l’Europa significa ormai per la metà o quasi turismo
culturale. In vent’anni siamo passati dal primo al quinto posto nel mondo per numero di visitatori e dal secondo al
settimo per volume d’affari. Il Pil legato al turismo è solo il quattro per
cento del totale, che arriva al dieci con l’indotto, quando potrebbe essere
serenamente il doppio e assorbire la metà dei disoccupati. Ma per arrivarci
bisogna assumere e investire come fanno Germania, Francia, Gran Bretagna, e
invece si licenzia e si taglia. Alla lunga, questa politica miope non reggerà e
allora, invece di nominare un tedesco agli Uffizi, forse saremo costretti a
vendere gli Uffizi o il Colosseo o Pompei ai gruppi stranieri. E scoprire che
magari funzionano meglio.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 28
agosto 2015
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