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domenica 8 settembre 2013
Lo Sapevate Che: Senza Frontiere...
Colpire Damasco Perchè Teheran Intenda
L’intervento non deciderà le sorti della guerra. Ma suonerà come un monito all’Iran perché non cerchi l’arma nucleare
Dopo una corsa iniziale verso la guerra, il presidente Barak Obama ha scaricato la responsabilità di decidere se attaccare o meno la Siria su un Congresso lento e diviso. Se e quando decideranno di intervenire, gli Stati Uniti già appaiono fin d’ora più deboli nella regione ed è improbabile che l’eventuale attacco abbia conseguenze decisive sul conflitto in corso ormai da lungo tempo.
L’amministrazione Obama dovrà fare i conti con un Congresso in cui i democratici aborrono l’idea di essere coinvolti in un’altra guerra in Medio Oriente e alcuni repubblicani sono convinti che gli Usa dovrebbero andare ben oltre un attacco simbolico punitivo. Altri repubblicani non intendono fornire alcun sostegno a qualsiasi iniziativa di Obama. La Casa Bianca può contare però sulla potente lobby filo-israeliana a Washington per riuscire a ottenere i voti necessari. Israele ha il forte timore che se gli Stati Uniti non sono disposti a reagire per far rispettare la loro linea rossa sulle armi chimiche in Siria, difficilmente sapranno imporre il rispetto della messa a bando di quelle nucleari in Iran.
Obama ha azzardato una scommessa politica: se il Congresso voterà contro l’intervento questo potrebbe indebolire la sua presidenza e dimostrare che gli Stati uniti non sono in grado di agire con decisione sulla scena internazionale; ma se riuscirà a ottenere il consenso questo potrebbe gettare le basi per un’azione più incisiva in Siria e rappresentare un deterrente più credibile contro il programma nucleare iraniano. In entrambi i casi, il regime siriano può già vantarsi per il fatto che la mossa di Obama mostra la debolezza americana.
L’attacco, se e quando avverrà, sarà probabilmente limitato. Obama lo ha già descritto come un “avvertimento”, un monito contro ogni ulteriore uso di armi chimiche e non come un’azione decisiva mirante a un cambiamento di regime. Pur sentendo la necessità di far rispettare nel mondo il divieto all’impiego di armi distruzione di massa, la Casa Bianca non vuole trascinare le forze armate americane in un conflitto diretto con la Siria. O per meglio dire, non vuole che il regime di Assad crolli adesso. Se questo accadesse, le forze islamiche estremiste dell’opposizione assumerebbero il controllo a Damasco; eventualità che non solo gli Stati Uniti, ma anche Israele e la Giordania, preferirebbero scongiurare.
La decisione di prendere pi tempo serve a Washington per rafforzare gli elementi più moderati del Libano esercito siriano; se, entro un anno o due, questi sapranno imporsi mettendo all’angolo gli estremisti, allora gli Stati Uniti potrebbero pensare più seriamente di rovesciare il regime di Assad. Per il momento, Washington tende a favorire lo status quo, condizione che il regime non faccia uso di armi chimiche e riduca gli attacchi contro la popolazione civile, che stanno causando flussi destabilizzanti di rifugiati in tutta la regione.
Siria E Iran Hanno annunciato massicce rappresaglie e spaventose conseguenze in caso di attacchi, ma questa è più probabilmente una minaccia per scongiurarli che non la reale intenzione se dovessero effettivamente subirli. La Casa Bianca ha precisato che un eventuale attacco avrebbe una portata limitata a una durata molto breve, forse un paio di giorni. Se venisse sferrato, Damasco dovrebbe incassare il colpo e rallegrarsi che sia circoscritto nel tempo. E potrebbe vantarsi di aver resistito all’assalto di una superpotenza e del fatto che gli Stati Uniti si sono “ritirati” presto.
Entrambi i Paesi hanno la possibilità di intensificare le minacce contro gli interessi degli Stati Uniti nella regione o contro Israele, ma questo rischierebbe soltanto di spingere gli americani o lo Stato ebraico verso ulteriori attacchi contro Damasco, cosa che la Siria e i suoi alleati vorrebbero verosimilmente evitare.
Eventuali attacchi degli Stati Uniti contro la Siria potrebbero finire per assomigliare ai primi inefficaci attacchi missilistici del presidente Bill Clinton contro il Sudan e al Qaeda più che alla lunga campagna aerea che aveva portato agli accordi di Dayton e alla fine della guerra in Bosnia, o all’intervento che ha recentemente rovesciato il regime di Gheddafi in Libia.
Un Intervento Militare potrebbe dissuadere la Siria dall’utilizzare di nuovo le armi chimiche, ma è improbabile che possa cambiare il corso del conflitto. Il regime e i gruppi ribelli appaiono bloccati in un confronto sanguinoso a lungo termine, con le truppe di Assad che controllano gran parte della capitale e le regioni centrali e occidentali del Paese, mentre gli insorti controllano ampie estensioni di quelle settentrionali e orientali, compresa l’enclave meridionale di Deraa.
Un eventuale attacco americano non provocherebbe un’intensificazione del conflitto né aiuterebbe a risolverlo, ma renderebbe più difficile la convocazione della conferenza Ginevra 2: un sintomo che un “governo mondiale” non è in grado di funzionare e del grado di deterioramento raggiunto dai rapporti fra Est e Ovest. Purtroppo, il popolo siriano continuerà probabilmente a pagare il prezzo dell’incapacità del mondo di contribuire a risolvere quella che è diventata la più grande guerra per procura internazionale dopo la fine della Guerra fredda.
Traduzione di Mario Baccianini
Paul Salem – L’Espresso – 12 – 9 -13
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