Cari ragazzi bravi e
delusi, è vero, la vita
È una giungla, ma basta
con i piagnistei
Caro Serra, sono una
ragazza di 19 anni, appena diplomata al liceo classico,
disillusa, angosciata,
arrabbiata e spaventata. Ho avuto una carriera
scolastica fatta di
delusioni e ingiustizie continue e di rivalse che non
arrivavano. Ho studiato mattina e sera per il mio esame di
maturità, ci ho messo tutto l’amore e la passione che possedevo, portando
percorso basato su L’insostenibile
leggerezza dell’essere di Milan Kundera, collegando ogni materia con una
frase del libro, esplorando fili tematici politici, metafisici, filosofici. Ho
avuto 80. Molti miei compagni di classe (uno di questi aveva portato
possiedono un percorso sul gossip) che
possiedono una cultura fatta di frasi prese a caso su face book, di notiziole
da quattro soldi su Belèn Rodriguez e di reality show, che in 5 anni di liceo
quel poco che avevano fatto l’avevano studiato dai miei appunti e riassunti,
hanno avuto voti di gran lunga superiori al mio. E’ stata la prima vera
delusione della mia vita.
Ho sbirciato per la prima volta attraverso il sipario del
mondo e ho visto un piccolo pezzo della giungla che c’è la fuori. Ora mi
chiedo: perché devo vivere in un Paese in cui la meritocrazia non esiste? In cui
molto probabilmente verrò scavalcata da persone che valgono meno di me solo
perché, come mi ha detto mia madre, sono figlia di nessuno? So che subirò
ingiustizie molto più grandi, e questo mi spaventa e mi sconforta. Dopo la fine
del liceo vivo sprofondata in questo senso di angoscia perenne e sento il peso
del mio futuro che mi cala addosso pian piano.
E ho paura di quello che mi aspetta, ho paura di non avere la
capacità per affrontare il mondo. E sono sconfortata perché io questo mondo
vorrei mangiarmelo, voglio andare all’università, studiare, mettermi in gioco,
arrivare in alto, svegliarmi la mattina e pensare “che bello, vado a lavorare”:
ma ho paura, perché questo è un Paese per vecchi, ricchi e imbroglioni. In
Italia non vai da nessuna parte se sei figlia di nessuno.
Carolina (Salerno)
Carolina, devo
sgridarti. La mia età più che matura me lo consente. I toni della tua lettera
sarebbero appropriati se scaturissero da una condizione tragica, o molto
precaria. Invece sei una ragazza che ha appena preso la maturità classica con
un voto che farebbe la felicità di tuoi coetanei. Che tuoi compagni meno
meritevoli e più futili di te abbiano preso un voto più alto fa parte della
vita, dei suoi squilibri e anche della casualità con la quale il destino spesso
distribuisce le sue occasioni. Finchè vivrai vedrai cretini di successo e mezze
cartucce riverite solo perché ricoprono una posizione di potere. Se perderai
tempo a roderti per queste cose, farai solo torto a te stessa.
Il tuo valore, la tua
misura devono farti da guida, e una buona dose di “non di curar di loro” aiuta
a non pagare, oltre al prezzo dell’ingiustizia, il sovrapprezzo del rancore.
Quanto alla “figlia di
nessuno”, scusa se te lo dico, ma uno dei tratti storici (nefasti) del
“carattere italiano”, specie nel Sud dove tu vivi, è pensare che essere “figli
di”, o non esserlo, è ciò che determina, da sé solo, il destino delle persone.
A furia di pensarlo, e di farne un’ossessione, si finisce paradossalmente per
rafforzare questo difetto, per eternarlo, per trasformarlo in Norma. Eppure
conosco figli di nessuno che, ricorrendo solo alle proprie forze, hanno avuto vite
di clamoroso successo economico e sociale, e “figli di” che hanno avuto vite
mediocrissime, da mantenuti, da sopportati, spintonati come sacchi di patate.
Basta con le lagne, Caterina. Sì, è proprio così, la vita è una giungla. Ma
nella giungla si diventa grandi e si diventa forti. Sono stufo di sentire
ragazzi di vent’anni che parlano solo di paura, di depressione, di
frustrazione. E quando tua madre ti dice che sei “figlia di nessuno”,
rispondile che ognuno è prima di tutto figlio di sé stesso. Se permetti, un
abbraccio.
lapostadiserra@repubblica.it
–Venerdì di Repubblica – 20- Settembre 2013
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