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domenica 29 settembre 2013

Lo Sapevate Che: Carta Canta..


Dove osano le due zarine

Rita Lorenzetti, ex governatrice dell’Umbria, arrestata per corruzione e altro.
Zoia Veronesi, storica segretaria di Bersani, indagata per truffa. Tutte e due con una carriera legata al Pd. Ma i vertici del partito tacciono.

In attesa di mettersi d’accordo su chi come quando perché e con quale abbigliamento parteciperà al congresso e alle primarie, i raperonzoli del Pd si sono scordati di commentare due casi giudiziari piuttosto imbarazzanti: l’arresto dell’ex governatrice dell’Umbria Maria Rita Lorenzetti, dalemiana di ferro e dunque presidente di Italferr,corruzione, abuso e traffico di rifiuti nell’ennesimo scandalo Tav a Firenze; e l’avviso di chiusura indagini (preludio della richiesta di rinvio a giudizio a giudizio) per Zoia Veronesi, storica segretaria di Bersani, indagata per truffa alla Regione Emilia.
Sui reati decideranno i giudici. Sui curricula delle due zarine dovrebbe esprimersi  il partito. La Lorenzetti, nata a Foligno nel 1953, si laurea in filosofia nel 1974 e subito dopo viene assunta dalla Provincia di Perugia.. Da allora, per 38 anni, vive a carico nostro: consigliere comunale, assessore e sindaco di Foligno, dal 1987 al 2000 deputato per quattro legislature (presiede la commissione Ambiente e Lavori Pubblici), poi fino al 2010 presidente della Regione per due mandati e infine, per convincerla a non ricandidarsi per la terza volta contro la legge, promossa a presidente di Italferr. Che è la società di engineering delle Ferrovie : l’ideale per una laureata in filosofia.
Le Intercettazioni del Ros dipingono le conseguenze di quel saltabeccare da una poltrona all’altra: un monumentale conflitto d’interessi dov’è impossibile distinguere i controllori (òe autorità di vigilanza inquinate dalla politica) e i controllati (la zarina e i compari della Coopsette rossa che realizza le opere). La Lorenzetti sistema alleati e rimuove ostacoli grazie a un trasversale reticolo di amicizie da D’Alema alla Finocchiaro, da Gianni a Enrico Letta, da Bersani a Catricalà. Le serve un decreto per trasformare le terre da scavo da rifiuti inquinanti da bonificare in innocui sottoprodotti di lavorazione? Gli amici romani lavorano per lei, fino al recente emendamento sanatoria del tesoriere Ds Sposetti. Bisogna togliere di mezzo “lo stronzo” dirigente dell’ufficio Via (Valutazione impatto ambientale della Regione Toscana) che si ostina a classificare i fanghi da scavo come rifiuti? Lo rimuove il governatore Rossi (“abbiamo levato di mezzo un coglione”).
C’è da premiare il geologo Bellomo che predica l’”assoluta biodegradabilità” dei veleni? Si chiama la Finocchiaro perché lo candidi alle elezioni. E quando lui scopre di non essere in lista, medita vendetta (“mi ha tradito quella che ogni mercoledì da quattro anni mi fa la lista delle cose che ha interesse che io le risolva”). E pazienza se, a furia di polverizzare i controlli, una galleria minaccia di cedere in caso d’incendio perché i materiali ignifughi sono scadenti: i costi delle opere lievitano ai danni dello Stato (ma non delle coop); una scuola rischia di crollare per gli scavi della stazione Tav: l’importante è tacitare i giornali, “i genitori dei bimbi armeranno un casino della Madonna”. I magistrati indagano? “E che cazzo, ci fanno diventare berlusconiani”.
La Veronesi La Assume la Regione Emilia nel ’93 quando Bersani diventa governatore. Poi lui va a fare il ministro e lei lo segue a Roma in aspettativa. Nel 2001, senza laurea né concorso, torna in Regione: dirigente, ma sempre al seguito di Bersani. Nel 2006 seconda aspettativa. Nel 2008 Errani le crea un secondo ufficio di rappresentanza regionale a Roma, dove lei continua a gestire  l’agenda di Pier Luigi. Tanto paga la Regione: 140 mila euro in due anni, più 16mila di rimborsi trasferta. Nel 2010 Bersani è segretario: la segretaria lascia finalmente la Regione, ma solo perché l’ha assunta il Pd, sempre a spese nostre.
Tutto ciò per i dirigenti del Pd è normale? Con che faccia denunciano i conflitti d’interessi altrui, predicando di tagliare i costi della politica e abolire il finanziamento pubblico dei partiti? Perché, mentre litigano sulle regole del congresso non ne approvano una semplice semplice affinché i casi Lorenzetti e Veronesi non si ripetano mai più? Basterebbe copiare un vecchio cavallo di battaglia di Grillo, forse il più serio: due mandati elettivi o amministrativi, poi a casa.

Marco Travaglio – L’Espresso – 3 ottobre 2013

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