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sabato 21 settembre 2013

Lo Sapevate Che: L'Antitaliano....


I Magistrati Secondo Ilda

La Boccassini ha distinto tra i colleghi che lavorano lontano dai riflettori e quelli che usano la giustizia per scopi personali, per la carriera. Una volta finita l’anomalia berlusconiana sarà possibile pensare alla normalità

Qui da noi – a parlare è un collega tedesco – i magistrati non vanno in televisione e non rilasciano interviste, se non quando una causa è definitivamente chiusa.
Che Paese sarebbe il nostro se nessuno avesse conosciuto i nomi, le voci e i volti, talvolta le opinioni personali, gli orientamenti politici e i curricula dei magistrati che hanno gestito i processi più importanti? Quei processi, per intenderci, che hanno decretato la caduta di governi, la fine di partiti, la chiusura di aziende. Che hanno cambiato il volto dell’Italia. Ma mi domando anche che Paese sarebbe il nostro se non si conoscessero nemmeno i nomi degli altri magistrati, di quelli che gestiscono processi apparentemente meno importanti eppure vitali perché la macchina della giustizia funzioni.
Sarebbe certo un paese diverso, molto più simile alla Germania che non all’Italia. Sarebbe forse un Paese in cui per sfuggire al processo e alla pena sarebbe  inutile e infruttuoso incolpare il collegio giudicante, perché totalmente sconosciuto ai più, definendolo di volta in volta, troppo di sinistra, troppo di destra, femminista, maschilista.
Ho provato a spiegare al collega tedesco che in un paese in cui la magistratura è quotidianamente sotto attacco, tutto salta. In un Paese in cui le sentenze sono considerate alla stregua di opinioni, talvolta addirittura di parte, è spesso necessario difendere i magistrati più esposti. In un paese in cui i magistrati vengono fotografati nel loro tempo libero, sono oggetto di servizi scandalistici ed è deprimente il colore dei calzini che indossano, del luogo in cui passeggiano o la marca di sigarette che fumano, è ovvio che la linea non solo è superata ma è come se non fosse mai esistita.  Questa non è nemmeno più macchina del fango, è qualcosa di diverso e di molto pericoloso perché è come se tutto fosse sdoganato. Ti esponi? Prendi parte al circo mediatico seppure con argomenti che riguardano la tua professione? Poco importa, ormai sei finito nella rete  e non puoi più sottrarti. Ecco come abbiamo percepito gli attacchi che negli anni sono arrivati numerosi al procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini . e quello, vergognoso, al giudice Raimondo Mesiano; come intrusioni – per alcuni più che legittime – nella vita privata di personalità che giocoforza sono dovute diventare pubbliche.
Sarebbe tuttavia giusto e necessario trovare un compromesso. E la strada prova a indicarla proprio Ilda Boccassini che durante  un evento pubblico cui ha partecipato di recente, ha distinto tra i colleghi che nel silenzio e lontano dai riflettori lavorano senza favore dei media e chi, invece, sembra usare la giustizia per scopi personali, per la carriera, per entrare in politica. Si sente a disagio quando si inneggia al lavoro dei magistrati, così come individua esattamente il vulnus, il centro del problema: “La conflittualità tra media, magistratura e politica è stata talmente alta da impedire la riflessione la riflessione tra noi”. Difficilissimo, quasi impossibile, fare autocritica quando si è parte di una categoria perennemente sotto attacco. Impossibile, perché qualunque cedimento poteva, e può, essere percepito come una crepa nel muro, una crepa da utilizzare per creare malanimo e conflittualità.
Il consenso sociale di cui la magistratura ha goduto in alcuni ambiti ha finito per rivelarsi una patologia del nostro sistema; Boccassini fa l’esempio di quando durante Mani pulite, lavorava a Palermo. Lì il lavoro dei giudici era un lavoro di trincea. Si viveva come se si stesse in carcere, come se tra cacciatori e prede non vi fosse soluzione di continuità. Andare a Milano, negli stessi mesi, negli stessi giorni, e vedere acclamati i giudici che stavano gestendo processi politici, era una dinamica incomprensibile per chi viveva “bunkerizzato”. Per un magistrato pronunciare parole come queste ha un che di rivoluzionario. Difficile rompere il fronte comune, difficile farlo quando per anni qualunque critica alla magistratura che rompesse il muro del silenzio, che giungesse a occupare i media, che venisse commentata, è stata la manifestazione del populismo personalistico di Berlusconi.
Eppure, forse, questo è il momento in cui la magistratura ha una reale possibilità di cambiamento. Libero il paese dall’anomalia berlusconiana, sarà possibile pensare di nuovo alla normalità.

Roberto Saviano – L’Espresso – 26 settembre 2013

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