I Magistrati Secondo
Ilda
La Boccassini ha
distinto tra i colleghi che lavorano lontano dai riflettori e quelli che usano
la giustizia per scopi personali, per la carriera. Una volta finita l’anomalia
berlusconiana sarà possibile pensare alla normalità
Qui da noi – a parlare è un collega tedesco – i magistrati
non vanno in televisione e non rilasciano interviste, se non quando una causa è
definitivamente chiusa.
Che Paese sarebbe il nostro se nessuno avesse conosciuto i
nomi, le voci e i volti, talvolta le opinioni personali, gli orientamenti
politici e i curricula dei magistrati che hanno gestito i processi più
importanti? Quei processi, per intenderci, che hanno decretato la caduta di
governi, la fine di partiti, la chiusura di aziende. Che hanno cambiato il
volto dell’Italia. Ma mi domando anche che Paese sarebbe il nostro se non si
conoscessero nemmeno i nomi degli altri magistrati, di quelli che gestiscono
processi apparentemente meno importanti eppure vitali perché la macchina della giustizia
funzioni.
Sarebbe certo un paese diverso, molto più simile alla
Germania che non all’Italia. Sarebbe forse un Paese in cui per sfuggire al
processo e alla pena sarebbe inutile e
infruttuoso incolpare il collegio giudicante, perché totalmente sconosciuto ai
più, definendolo di volta in volta, troppo di sinistra, troppo di destra,
femminista, maschilista.
Ho provato a spiegare al collega tedesco che in un paese in
cui la magistratura è quotidianamente sotto attacco, tutto salta. In un Paese
in cui le sentenze sono considerate alla stregua di opinioni, talvolta
addirittura di parte, è spesso necessario difendere i magistrati più esposti.
In un paese in cui i magistrati vengono fotografati nel loro tempo libero, sono
oggetto di servizi scandalistici ed è deprimente il colore dei calzini che
indossano, del luogo in cui passeggiano o la marca di sigarette che fumano, è
ovvio che la linea non solo è superata ma è come se non fosse mai
esistita. Questa non è nemmeno più
macchina del fango, è qualcosa di diverso e di molto pericoloso perché è come
se tutto fosse sdoganato. Ti esponi? Prendi parte al circo mediatico seppure
con argomenti che riguardano la tua professione? Poco importa, ormai sei finito
nella rete e non puoi più sottrarti.
Ecco come abbiamo percepito gli attacchi che negli anni sono arrivati numerosi
al procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini . e quello, vergognoso, al
giudice Raimondo Mesiano; come intrusioni – per alcuni più che legittime –
nella vita privata di personalità che giocoforza sono dovute diventare
pubbliche.
Sarebbe tuttavia giusto
e necessario trovare
un compromesso. E la strada prova a indicarla proprio Ilda Boccassini che
durante un evento pubblico cui ha
partecipato di recente, ha distinto tra i colleghi che nel silenzio e lontano
dai riflettori lavorano senza favore dei media e chi, invece, sembra usare la
giustizia per scopi personali, per la carriera, per entrare in politica. Si
sente a disagio quando si inneggia al lavoro dei magistrati, così come
individua esattamente il vulnus, il centro del problema: “La conflittualità tra
media, magistratura e politica è stata talmente alta da impedire la riflessione
la riflessione tra noi”. Difficilissimo, quasi impossibile, fare autocritica
quando si è parte di una categoria perennemente sotto attacco. Impossibile,
perché qualunque cedimento poteva, e può, essere percepito come una crepa nel
muro, una crepa da utilizzare per creare malanimo e conflittualità.
Il consenso sociale di cui la magistratura ha goduto in
alcuni ambiti ha finito per rivelarsi una patologia del nostro sistema;
Boccassini fa l’esempio di quando durante Mani pulite, lavorava a Palermo. Lì
il lavoro dei giudici era un lavoro di trincea. Si viveva come se si stesse in
carcere, come se tra cacciatori e prede non vi fosse soluzione di continuità.
Andare a Milano, negli stessi mesi, negli stessi giorni, e vedere acclamati i
giudici che stavano gestendo processi politici, era una dinamica
incomprensibile per chi viveva “bunkerizzato”. Per un magistrato pronunciare
parole come queste ha un che di rivoluzionario. Difficile rompere il fronte
comune, difficile farlo quando per anni qualunque critica alla magistratura che
rompesse il muro del silenzio, che giungesse a occupare i media, che venisse
commentata, è stata la manifestazione del populismo personalistico di
Berlusconi.
Eppure, forse, questo è il momento in cui la magistratura ha
una reale possibilità di cambiamento. Libero il paese dall’anomalia
berlusconiana, sarà possibile pensare di nuovo alla normalità.
Roberto Saviano – L’Espresso – 26 settembre 2013
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